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“The Persian Version” è un vibrante affresco sulle peripezie di una famiglia iraniana emigrata negli Stati Uniti

RadioSapienza e Cinemonitor alla Festa di Roma con Alice nella Città

Se c’è un cinema “altro” che merita di essere seguito con attenzione in questi anni post pandemici, esso è sicuramente quello che proviene dall’Iran. Paese profondamente segnato dalle recenti rivolte contro il regime instauratasi ben cinquant’anni fa, i registi che operano all’interno dei confini nazionali devono fare i conti con la censura, la paura dell’arresto e con tutti gli ostacoli imposti da un governo che non accetta il dissenso e alcun dialogo democratico. Ecco che le pellicole girate in Iran spesso si servono di mezzi di fortuna per aggirare il Grande Fratello statale, dando vita ad un cinema che fa dell’essenzialità e dell’aspra critica sociale il proprio punto di forza. Si pensi, ad esempio, a celebri autori come Jafar Panahi e Asghar Farhadi e a loro importantissime pellicole come Taxi Teheran o Un Eroe, oppure anche ad Ali Asgari, autore del recente Kafka a Teheran, un film acclamato anche da un gigante del cinema italiano come Marco Bellocchio.

Presentato nella sezione Freestyle della diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma, The Persian Version è un film che si inserisce parzialmente in questo filone, seppure discostandosene, in quanto la regista, l’iraniana Maryam Keshavarz, lo gira negli Stati Uniti. Questo le permette di ricorrere a una certa libertà stilistica che, giocoforza, i suoi colleghi costretti ad operare sotto l’egida dello Stato Islamico non possono adottare. La pellicola racconta la verosimile storia di Leila (Layla Mohammadi), un’aspirante cineasta d’origine iraniana che vive in America con la sua numerosa famiglia da diverse generazioni. La protagonista è omosessuale e questa sua peculiarità non viene accettata da sua madre (Niousha Noor), legata a pregiudizi e ideali di stampo conservatore e tradizionalista. Attraverso numerosi flashback lo spettatore conosce in seguito le reali motivazioni che hanno spinto la famiglia ad emigrare all’estero – la loro personale “persian version” – ripercorrendone alcune tappe come il matrimonio tra i genitori di Leila e i sacrifici fatti da sua madre per potersi permettere le cure mediche per i problemi cardiaci del marito. Nella linea temporale presente, invece, la protagonista rimarrà incinta da un incontro con una drag queen e dovrà lottare contro gli ottusi stereotipi innervati nella mentalità della sua famiglia. In sintesi, dunque, il film parla del complesso rapporto tra una madre e sua figlia, oltre che fra due culture per molti versi diametralmente opposte tra loro.

La trama del film si dipana efficacemente anche grazie ad una messa in scena moderna e vibrante che fa un uso frequente della rottura della quarta parete e di un montaggio a tratti caotico e frammentato. Lo stile della scrittura, che arriva anche a toccare i connotati del musical, alterna con sapienza (e senza alcuna forzatura) tra spassosi momenti comici e parentesi decisamente più commoventi e drammatiche. Questi due differenti registri concorrono nel tratteggiare un ritratto che riesce a mettere in luce le innumerevoli differenze che intercorrono tra lo stile di vita americano e quello iraniano, denunciandone con sguardo militante alcune caratteristiche decisamente conservatrici. Degna di nota anche la caratterizzazione estremamente sfaccettata dei personaggi, uno su tutti quello della madre della protagonista: se all’inizio viene vista negativamente dallo spettatore, il suo arco narrativo lo farà ricredere, finendo per empatizzare con una persona che, a sua volta, proprio come la protagonista, ha subito innumerevoli soprusi. Raggiungendo l’apice nello struggente finale, in cui la linea temporale passata e quella presente si incontrano per un’ultima volta, riuscendo a commuovere con una naturalezza disarmante. È questo il punto di forza di uno dei film più effervescenti presentati nella kermesse romana appena volta al termine.

Gioele Barsotti

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