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La Chimera: il nuovo film di Alice Rohrwacher alla Festa del Cinema di Roma

Conferenza stampa de "La chimera" alla Festa del cinema di Roma, 25 ottobre 2023. Foto di Mario Monopoli

RadioSapienza e Cinemonitor alla Festa di Roma con Alice nella Città

Presentato al Festival del Cinema di Cannes, La chimera di Alice Rohrwacher sbarca anche alla 18esima Festa del Cinema di Roma nella sezione Best of 2023. Il film, distribuito da 01 Distribution e prodotto da Tempesta, Rai Cinema, Ad Vitam e Amka Film Productions, uscirà nelle sale italiane il 23 novembre 2023.

La Chimera: Tra sacro e profano, sogno e realtà

Il nono giorno della Festa del Cinema di Roma ci porta una ventata di aria fresca. È proprio giovedì 26 ottobre che il Cinema Giulio Cesare mette in scena, in anteprima per la sezione Best of 2023, La chimera di Alice Rohrwacher. Al suo quarto lungometraggio, la regista ci proietta ancor di più in un mondo simbolico, poetico, al confine tra sogno e realtà.

La chimera racchiude in sé già dal titolo un duplice significato. È il “mostro della mitologia greca, che i poeti dissero col muso di leone, il corpo di capra, la coda di drago e vomitante fiamme”. Ma è anche sogno vano, ipotesi assurda, utopia. Ed è esattamente l’ambivalenza il punto focale del film, che più che film diventa opera d’arte. 

Catapultati in una Toscana da cartolina del 1982, la nostra esperienza sensoriale inizia sulle note di Vado al massimo di Vasco Rossi. Di ritorno in una piccola città sul Mar Tirreno, Arthur (Josh O’Connor, nonché due volte premio Emmy per la sua interpretazione del principe Carlo in The Crown) ritrova la sua banda di tombaroli, ladri di corredi etruschi e di meraviglie archeologiche. Ma i tesori del mondo antico non sono l’unica chimera del maestro dell’archeologia: la sua più grande ricerca è quella della donna amata e perduta, Beniamina (Yile Vianello).

Quasi fosse Orfeo, Arthur cerca instancabilmente la sua Euridice. La vede in sogno, percepisce la sua presenza, la sua vicinanza, ne sente la voce, il respiro. In queste visioni a occhi aperti, il racconto si perde tra sogno e realtà, sacro e profano. Euridice non è semplicemente una donna, un sogno, una guida, ma la porta verso l’Aldilà, insieme radice e conclusione dell’eternità. Orfeo ed Euridice, mito d’amore e al contempo mito di morte. Ed ecco che torna l’ambivalenza. Perché la dimensione della morte, del senso di vuoto, si intreccia irrimediabilmente con le emozioni terrene.

Proprio grazie a questo senso di vuoto legato al mondo dell’Aldilà, non visibile, sacro, Arthur diventa per i profanatori di tombe il Virgilio dantesco, il Caronte traghettatore di anime profane macchiate dalla bramosia di tesori dell’antichità. I tombaroli seguono ciecamente l’archeologo britannico, quasi fosse un sensitivo, un collegamento tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, l’unico in grado di percepire il vuoto nascosto nel terreno, che indica esattamente dove trovare i resti di un passato perduto. Ed ecco che si mescolano le due chimere più grandi di tutto il lungometraggio, ma forse in generale di tutta la storia dell’umanità: la ricerca nostalgica di un amore ideale e il grande sogno del guadagno, dell’infinita bramosia dei beni terreni.

“Là sotto ci sono cose che non sono fatte per gli occhi degli uomini, ma delle anime” dice Italia (Carol Duarte), la donna alle dipendenze della madre di Beniamina, Flora, una splendida Isabella Rossellini. Queste parole rappresentano lo snodo di tutto il racconto: l’essere umano è disposto a tutto pur di arricchirsi. Riesce a superare limiti inimmaginabili, persino a violare i luoghi sacri dei defunti e a sfidare il mondo dei morti. La chimera intende dimostrare, attraverso un sincero esame di coscienza di chi guarda, che l’interesse scellerato per i beni materiali, per il denaro, non è nient’altro che pura e semplice effimerità se posto a confronto con la grandezza e l’ineffabilità del sentimento umano, dell’amore perduto, del sacro. 

Sacro che non è legato a una concezione cristiana, ma è una dimensione che raccoglie tutte le cose perdute: persone, ricordi, emozioni e persino tesori archeologici. Il legame invisibile tra sacro e profano, tra sogno e realtà è il filo rosso di un’Arianna del Novecento, Beniamina. 

Questo fil rouge non è altro che il cuore del film: permette un “continuo rovesciamento del sottosuolo, della realtà e del ricordo, del passato e del presente”. Continui rovesciamenti che non sono evidenti solo nel racconto, ma anche nel montaggio. La stessa Alice Rohrwacher insegue la sua chimera: usa sapientemente tre formati di pellicola – 35 mm, Super 16mm e 16 mm – per rappresentare in modo nuovo e libero la sua visione del cinema, una perfetta commistione delle molteplici eredità di tutta la cinematografia.

Gli Uccelli di Battiato segnano la scena finale, in una conclusione che ci dà quasi la sensazione di un nuovo inizio. “Ognuno insegue la sua chimera senza mai riuscire ad afferrarla”. Alice Rohrwacher ha scavato nel sottosuolo della storia del cinema, ha corso il rischio e forse, la sua chimera, l’ha afferrata. 

 Giulia Pusceddu

La Chimera, i commenti della regista e degli interpreti alla conferenza stampa del film

È stanca, Alice Rohrwacher, dei pregiudizi negativi sul pubblico, spesso trattato come un’entità anonima e massificata incapace di capire cose troppo sperimentali o complesse. Secondo la regista italiana, protagonista assieme al cast de La chimera della conferenza stampa del 25 ottobre all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, “il pubblico è pronto a forme narrative nuove e diverse”, manifestando la sua “antipatia” per il viaggio dell’eroe, in quanto “i viaggi sono collettivi e non solo individuali”, motivo per cui ne La chimera le gesta dei protagonisti sono raccontate in divenire mentre sono accompagnati da dei cantastorie. Idee e innovazioni a cui la regista aveva già sperimentato con i film precedenti, ma che in La chimera si rendono ancora più evidenti.

Capitolo finale di una ideale trilogia ambientata nel mondo rurale del centro Italia assieme a Le meraviglie (2014) e Lazzaro felice (2018), La chimera capovolge il viaggio del film precedente: se Lazzaro, già dal nome, è colui che ritorna in vita dalla morte e dalla monotonia della mezzadria feudale alla varietà sobbarcante della metropoli, Arthur, protagonista de La chimera, si muoverà al contrario dal mondo dei vivi a quello dei morti, ossessionato e guidato dalle “chimere” divinatorie attraverso cui il rabdomante inglese riporta in vita il passato, trasformandolo in merce.

Il racconto di La chimera è quello di una terra sacra che diventa lo scenario per raccontare la dissacrazione, in modo feroce e burlesco, in cui l’avvento del materialismo trasforma qualsiasi oggetto in un mero calcolo economico. “Siamo qui per stimare l’inestimabile” è l’espressione chiave usata dal personaggio di Spartaco/Frida (interpretata dalla sorella della regista Alba Rohrwacher) e che rappresenta l’ideale di una società in cui il sacro non esiste più. Se per Spartaco la vendita del sacro è uno spettacolo di lusso, per i tombaroli invece “sono i morti a dare la vita”, evidenziando come questi in realtà siano piccoli ingranaggi in un gioco molto più grande di loro, pesci piccoli in un mondo di predatori dalle barche di lusso.

La riscoperta e la riesumazione del passato non si trova però solo nella storia di Arthur, ispirata dal libro di Fabio Isman I Predatori dell’Arte Perduta, ma anche nell’utilizzo di diversi formati e tecniche che rappresentano momenti cardine della storia del cinema, rendendo La chimera non solo un film che ha come tema principale l’archeologia, ma anche un film che nel suo svolgersi riprende e riproduce una archeologia della storia del cinema. Dal cambio di formati, dai 16 mm, super 16 mm e 35 mm, fino ai riferimenti al cinema delle origini (quello che Tom Gunning definiva cinema delle attrazioni) e al primo cinema narrativo muto, in particolare, rivela l’autrice, a Buster Keaton, attraverso scene accelerate e che lasciano narrare le azioni più che le parole, ma anche ad altri momenti parte della cultura cinematografica della regista, come ad esempio i film di Bud Spencer e Terence Hill.

La Chimera è un film che si rapporta quindi con il passato a diversi livelli: dalla microstoria di Arthur e Domiziana, in cui il passato è rappresentato dalla donna amata e perduta, dallo sfruttamento in chiave economica e pragmatica delle rovine etrusche, tanto che il tombarolo Pirro (Vincenzo Nemolato) si ritiene convinto che i suoi antenati abbiano lasciato quei tesori proprio pensando al momento in cui lui li avrebbe ritrovati, al racconto della storia del cinema attraverso i supporti che ne hanno amplificato i mezzi e i momenti che ne hanno cambiato la direzione, fino al rapporto con l’aldilà, come un filo rosso che lega i personaggi, vivi e morti che siano.

Il passato è però anche uno strumento per costruire il futuro, come mostra l’esperienza di Italia, che assieme ad altre donne occupa una vecchia stazione ferroviaria abbandonata, creando una sorta di comune matriarcale. Un luogo di tutti e di nessuno contemporaneamente, che sembra rappresentare un nuovo inizio.

Nonostante questa possibilità, per Arthur però non sembra esserci altra soluzione che quella già preannunciata dalla primissima scena del film. “Sappiamo dall’inizio che finisce male, non è la trama ad essere un mistero, ma come la trama viene svolta” conferma la regista durante la conferenza stampa. Un’attrazione, quella di Arthur, quasi corporea verso il mondo sotterraneo e l’ultraterreno, dove riposano da secoli le chimere etrusche, e che forse, come accade in Chimaira di Valerio Massimo Manfredi, un giorno potrebbero riprendere vita.

Mario Monopoli

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