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Plan Bee, il drone che impollina i fiori

Il suo aspetto ricorda quello di un fiore o di una farfalla, ma è giallo e nero, proprio come un’ape. Si chiama «Plan Bee» ed è un mini-drone in grado di saltare di fiore in fiore replicando, o meglio, imitando il processo necessario per la riproduzione delle piante: l’impollinazione. Per adesso si tratta solo di un prototipo, ma la sua creatrice sta già provvedendo a tutte le certificazioni per poterlo sviluppare e mettere in commercio nel giro di due anni: «Sarebbe bellissimo vedere sciami di Plan Bee nei cortili delle persone e persino poter creare giardini personalizzati grazie alle piccole api artificiali».

Plan Bee è stato progettato negli Stati Uniti da Anna Haldewang, studentessa di design industriale al Savannah College of Art and Design. «Volevo dare l’impressione di un’ape, senza esattamente replicare l’insetto», afferma in un’intervista alla Cnn. Il drone-insetto sta nel palmo di una mano e vola grazie ad una coppia di eliche. E’ fatto di plastica, ma ha un nucleo di schiuma che lo rende agile e leggero.

Sulla carta, la sua funzione primaria è quella educativa: grazie alle sue dimensioni, permette agli studenti di osservare in maniera diretta il funzionamento del processo di impollinazione. Tuttavia, la messa a punto di una macchina che imita le api ed il loro preziosissimo lavoro potrebbe avere finalità ben diverse da quelle puramente didattiche: «Potrebbe essere utilizzata anche per la coltivazione su larga scala» rivela il preside della scuola di design frequentata dalla Haldewang. E non è un caso che faccia riferimento a questo.

“Se un giorno le api dovessero scomparire, all’uomo resterebbero soltanto quattro anni di vita”. Non si sa per certo se Einstein abbia mai pronunciato questa frase, ma non c’è alcun dubbio sul fatto che la sparizione delle api avrebbe conseguenze devastanti a livello planetario. L’opera di impollinazione che svolgono queste piccole regine della biodiversità è infatti fondamentale per la produzione alimentare. Secondo i dati forniti dalla Fao, 71 delle 100 colture più importanti a livello globale vengono impollinate dalle api. Solo in Europa, dipendono dal loro operato ben 4 mila varietà agricole.

La sindrome dello spopolamento degli alveari (Colony Collapse Disorder) è stata riscontrata per la prima volta nel 2006, sebbene già sul finire degli anni ’90 molti apicoltori (soprattutto in Europa e Nord America) hanno iniziato a segnalare un’anomala e repentina diminuzione nelle colonie di api. Nel 2007 in Italia sono morte il 50% delle api. Numeri incredibili, che fanno paura. Le cause non sono ancora chiare, ma – com’è ovvio – sembra che lo spopolamento sia dovuto principalmente ai cambiamenti climatici e all’uso massiccio di prodotti chimici nell’agricoltura industriale. La frammentazione degli habitat naturali, l’espansione delle monocolture e la mancanza di diversità, sono tutti fattori che hanno contraccolpi pesanti per gli impollinatori. Pratiche distruttive che limitano la capacità delle api di nidificare.

Visti in quest’ottica, gli «sciami di Plan Bee nei cortili» diventano quasi il frame di un film post-apocalittico, piuttosto che l’ultima frontiera del design.

Del declino delle api si è accorta anche la Commissione europea. Nel 2013 ha ufficializzato l’adozione del bando europeo su tre pesticidi ritenuti dannosi per la specie. Ma si tratta di un bando temporaneo e limitato solo a determinate colture. E’ necessaria un’azione ben più decisa. E’ necessario investire in ricerca, sviluppo e applicazione di pratiche agricole sostenibili.

Su www.salviamoleapi.org è attiva la petizione promossa da Greenpeace ed indirizzata al ministro dell’Agricoltura, che mira ad ottenere l’eliminazione dei sette pesticidi più dannosi per le api: clothianidin, imidacloprid, thiametoxam, fipronil, clorpirifos, cipermetrina e deltametrina. Nomi impronunciabili di sostanze tossiche utilizzate quotidianamente nelle colture industriali. E che prontamente arrivano sulle nostre tavole. Non è forse arrivato il momento di cambiare strada?

Ismaele Pugliese

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