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L’assistenza sociale online, come cambia chiedere aiuto

In un piovosa giornata di lunedì presso la città universitaria è stato organizzato un seminario da parte della facoltà di scienze sociali ed economiche, riguardante l’uso delle tecnologie digitali nelle professioni di aiuto con particolare riferimento al lavoro sociale.

All’evento hanno preso parte professori della Sapienza, come la Maria Grazia Galantino, presidente del corso di laurea STESS. Che ha introdotto l’argomento accogliendo gli ospiti e concludendo il seminario esponendo suo punto di vita. Importanti sono stati gli interventi di chi lavora nel mondo sociale, come lo psichiatra psicoterapeuta Gianmarco Manfrida. Si occupa principalmente di psicoterapia, terapia familiare, disturbi della personalità.

L’interessante punto di vista verte su come l’avvento della pandemia sia stato determinante ai fine di un cambiamento di comunicazione, in particolare per le nuove generazioni che hanno più difficoltà a “a guardarsi negli occhi”, per questo preferisco di più un approccio virtuale, questo anche a causa degli ultimi due anni di pandemia, in cui la comunicazione online è stata predominante sulla vita di questi.


La tecnologia avanza ma forse l’uomo regredisce, una rapporto indirettamente proporzionale. Una società dove la comunicazione diretta fra persone viene a mancare sempre di più, si va a dare un’importanza maggiore a un regime comunicativo, come quello dei social. Costruendo una “tavola delle leggi” non scritte e comune a tutti, dove per esempio l’uso del maiuscolo significa corrisponde ad un carattere più forte e deciso, come se fossi arrabbiato. Le emoticon rappresentano le nostre sensazioni, danno un tono alla conversazione, per evitare una comunicazione neutra e priva di emozioni, dove anche un semplice “ok” può nascondere all’interno molteplici significati.

La parola poi a chi di mestiere interviene in situazioni di disagio ed emarginazione, attraverso la prevenzione, il sostegno e il recupero. Chi si occupa di singoli e famiglie appartenenti a particolari categorie. La dott.ssa Fausta Favotti, assistente sociale specialista, ricalcando le tematiche del professore Manfrida, ha sottolineato, anche attraverso le sue esperienze lavorative, come anche il luogo sia importante, poiché definisce il metodo, cambiando le interferenze. Talvolta si preferisce l’approccio online, poiché permette di essere a proprio agio, situazione che magari di presenza non risulta.

L’inquadratura maggiore del viso permette meno vie di fuga e la persona è più portata all’attenzione. Cosa che magari in presenza in colloquio faccia a faccia può portare imbarazzo. Il focus sul viso mette più in evidenza il linguaggio non verbale. Da una parte si perdono delle fonti informative importanti ma dall’altra si avrà l’espressione del viso più in evidenza.

In colloqui a distanza, il vuoto e il silenzio hanno due pesi diversi. In presenza, per la dottoressa rappresenta uno spazio di riflessione e sollievo, dato dall’ansia o dalla pesantezza dell’argomento, oppure un brainstorming. Per qualcuno in presenza il silenzio imbarazza, magari visto come sinonimo di incertezza. Allo stesso tempo, online si vede il riflesso di se stessi e questo può verificare un’eccessiva attenzione sulla propria immagine, in un’idea narcisista. Insinuando inoltre il pensiero di come l’altro possa vederci, destabilizzando l’attenzione dagli argomenti principali. L’attenzione allo sguardo è qualcosa su cui bisogna riflettere, in modo di produrre delle idee su come superare eventuali problemi.

Il finale comunicato dal professoressa Galantino è stato un invito a parlarne con gente che può essere d’aiuto, per riuscire a superare gli ostacoli che troppo spesso ci portiamo dentro, mettendo la stessa università a disposizione di chi cerca un mano e sente la necessità di sostegno. Un aiuto che parte dell’università per rafforzare maggiormente il rapporto che lega lo studente alla vita universitaria e quella personale

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