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La Sapienza e il Coris per la Settimana della Sociologia: Day 1, sessione pomeridiana

Nella sessione pomeridiana della prima giornata della Settimana della Sociologia, dal titolo “L’Italia che cambia. Le scienze sociali e della comunicazione di fronte all’accelerazione del mutamento sociale”, si sono svolte due sessioni parallele: una in Aula Oriana e l’altra presso il Centro Congressi.

Presso l’Aula Oriana il pomeriggio ha visto lo svolgimento di due panel: il primo, intitolato “Genere e (social) media”, ha concentrato l’attenzione del pubblico su una questione ancora oggi molto attuale, come la discriminazione di genere, mescolata con strumenti moderni e talvolta di difficile interpretazione, come i social media.

Infatti, come ha sottolineato la coordinatrice del panel, Silvia Leonzi, docente di Industria culturale e Media studies al CoRiS, “attraverso i nuovi media possiamo individuare segnali di cambiamento sulle questioni legate al genere”. Dopo l’introduzione della prof.ssa Leonzi è intervenuta Milly Buonanno, responsabile scientifico Unità di Ricerca GEMMA del CoRiS, che ha ricordato l’anniversario dei quarant’anni, nel 2019, di “Processo per stupro”. Processo per stupro è un documentario che rappresentò uno shock negli anni settanta e contribuì al cambiamento della cultura italiana di genere. E’ importante parlarne perché pose l’attenzione su una tematica ancora poco considerata, e lo fece in maniera non filtrata, riprendendo un vero processo, in un periodo in cui ancora lo stupro non era considerato reato contro la persona. Gli anni settanta furono un periodo di cambiamento anche per la televisione italiana: entrarono infatti nella dirigenza RAI le donne, che decisero di dare voce alle tematiche mai prese in considerazione, soprattutto quelle femminili come la visione di Processo per stupro. Quest’ultimo produsse un importante mutamento sociale, nonostante durante il processo la donna da vittima diveniva oggetto di accusa. Processo per stupro fu il frutto di un’alleanza tra medium televisivo e femminismo, una tv che esercitava la sua missione di servizio pubblico e di denuncia di una violenza simbolica, cioè di un sistema sul quale si instaura il dominio maschile sulla donna.

A seguire, è intervenuta come discussant la scrittrice e giornalista Daniela Brancati. Prima donna a rompere il “tetto di cristallo” nel settore giornalistico negli anni ’90, nel 2011 ha scritto il saggio Occhi di maschio. Le donne e la televisione in Italia. L’autrice parla di “una storia scritta dai perdenti”, che in questo caso sono il buonsenso, il buongusto e le donne: queste ultime perché il femminismo è stato cancellato dai media, considerato da essi l’antagonista più pericoloso. Anche la Brancati parla del Processo per stupro del 1979, considerandolo innovativo per la televisione italiana del periodo: per la prima volta in Italia un programma “sporco” entrò in una Tv (e in una RAI) ancora molto formale al termine degli anni ’70. Inoltre il docufilm è stato il primo programma dal forte potere aggregativo, in grado di creare una community specifica. 

La Brancati ha inoltre approfondito l’immagine odierna della donna “vittima”: i media sono antagonisti delle immagini della donna reale, fatta di punti di debolezza ma anche di forza. La cultura dei media è ancora “occhi di maschio”: quando una donna appare in telecamera, è per compiacere un pubblico maschile, anziché rivolgersi alle donne. Concludendo, “solo con una rappresentazione reale si potrà abbattere il maschilismo dei media”.

Giovanni Ciofalo, professore in Internet e social media studies presso il CoRiS-Sapienza, ha approfondito il ruolo dei Social Media nelle differenze di genere, basandosi su tre principali dimensioni: fruizione, rappresentazione e auto-rappresentazione. Dal punto di vista della fruizione, ci sono tendenze comuni e differenze tra uomini donne: tra le tendenze comuni ci sono la self-representation, la partecipazione e l’esplicitazione di interessi. Invece le differenze più grandi si notano in termini relazionali (le donne tendono a conservare i propri legami, mentre gli uomini tendono a crearne di nuovi), informativi ed estetici. Sulla rappresentazione c’è il condizionamento da chi ha “il potere di rappresentare dietro la telecamera (uomini) chi è davanti alla telecamera (donne)”. Su questo i social media hanno il vantaggio di garantire più libertà ed empowerment, ma anche il difetto di amplificare oppressione e oggettivazione. In termini di auto-rappresentazione invece, i social producono la centralità dell’aspetto (a discapito del testo), la necessità della comparazione ed il meccanismo del “to be cool”, l’essere per forza attraenti agli occhi dei fruitori.

      Intervista a Giovanni Ciofalo

Sul filone introdotto dal Professore Ciofalo, si è espressa anche Manuela Palelli, responsabile Struttura Multipiattaforma Rai1. La Palelli ha parlato di una RAI che cerca di orientare il linguaggio al pubblico dei giovani, e di ampliare l’attività digital della rete. In questo però monitora sempre i profili social, nei quali spesso ci sono molti attacchi diretti alle donne, per cui ha auspicato a rendere le persone più consapevoli delle conseguenze di ciò che scrivono nelle piattaforme.

Il secondo panel del pomeriggio che si è svolto in Aula Oriana aveva come tematica “Il cinema come spazio di difesa dei diritti umani”. A coordinare l’incontro sono stati i professori Roberto Faenza e Mihaela Gavrila, discussant Michele Anselmi, giornalista e critico cinematografico, Ilaria Romeo, direttrice archivio storico CGIL e Giovanni Pompili, produttore cinematografico.

Il critico cinematografico, Michele Anselmi, ha parlato della nuova frontiera digitale della critica cinematografica. I feedback alle recensioni arrivano solo se si pubblicano su Facebook, e nonostante il calo degli incassi, i lettori di cinema sono molto attenti. La critica, dunque, in questo contesto deve usare lo stesso linguaggio dei social, anche perché i registi e tutto il mondo cinematografico si è convertito al digital. Anselmi ha concluso così il suo intervento: “Partiamo da una consapevolezza: nello scrivere bisogna aspirare ad essere complessi e non complicati, semplici ma non superficiali.”

In seguito, ad intervenire è stata Ilaria Romeo, che ha spiegato come la CGIL sta tentando di coinvolgere i giovani. Per questo sono stati messi in atto tre progetti di web series che raccontino il mondo del lavoro, attraverso il linguaggio vicino ai giovani. I progetti saranno presentati al congresso nazionale di Bari di gennaio. Inoltre nel sito della CGIL saranno inseriti i backstage delle web series, e tutti gli studenti interessati possono collaborare al progetto.

Subito dopo, la parola passa a Giovanni Pompili, produttore cinematografico, che ci mostra uno dei suoi ultimi lavori “Il silenzio”, un cortometraggio in concorso all’ultimo Festival di Cannes. “Il silenzio” si instaura perfettamente nella tematica di cinema e diritti umani, in quanto racconta l’esperienza di una madre e figlia di nazionalità curde, in un ospedale romano. Il cortometraggio pone l’attenzione sui diritti umani, in un momento storico in cui il fenomeno dell’immigrazione è sempre più al centro del dibattito sociale. Il produttore ha, inoltre, spiegato che il suo lavoro parte dai contenuti che vuole proporre tramite il mezzo cinematografico. La sua casa cinematografica”Kino Produzioni” ha deciso di investire sui cortometraggi per mettere in scena le tematiche dei diritti umani, come il cortometraggio “Valparaiso”, che affronta la questione del diritto alla maternità.

In chiusura del panel abbiamo la testimonianza di Lorenzo Biferale e Laura Bonamici, due studenti responsabili del Festival Quindici19, International Short Film Festival. Il festival in questione si rivolge agli studenti universitari, ma anche liceali, che vogliono interfacciarsi col mondo del cinema, e partecipare alle iniziative di realizzazione cinematografica promossi all’interno di questo progetto. Il festival Quindici19 si propone di realizzare dei prodotti video che promuovano la riflessione e la sensibilizzazione su “ciò che vale la pena combattere”.

 

      Intervista a Milly Buonanno
      Intervista a Giovanni Pompili e Michele Anselmi

 

Contemporaneamente nella Sala Congressi dello stesso Dipartimento CoRiS si svolgevano altri tre Panel di tematiche differenti coordinati da Isabella Pezzini.

Il primo, dal titolo “Ripensare il diritto alla città: spazio pubblico e creatività urbana”, ha visto l’intervento di più esponenti del settore, primo tra loro Ciriaco Campus, professore all’Accademia di Roma e artista urbano, che ha spiegato due delle sue opere più famose: un’istallazione temporanea all’ingresso museo Macro di via Nizza, che vuole nascondere l’entrata del museo stesso mascherandola da grande magazzino. La seconda, invece; e la riproduzione di un campo umanitario ideale, realizzata nell’anno 2000 del Giubileo con l’intento di rappresentare come il sentimento religioso si manifesta nel sociale.Quest’ultima è stata compresa appieno con grandi difficoltà: molti turisti hanno pensato si trattasse della sponsorizzazione della marca di tende che il professore aveva utilizzato per realizzarla.

Le seconde relatrici a intervenire sono state Pisana Posocco, del dipartimento di architettura e progettazione, e Sonia Martone, direttrice di Palazzo Venezia. Quest’ultima ha parlato per prima, facendo un’interessante introduzione sul monumento che dirige, primo palazzo rinascimentale della storia di Roma di conseguenza spesso associato al ventennio fascista, e su come l’obiettivo del progetto che porta avanti insieme alla professoressa Posocco si appunto quello di rendere Palazzo Venezia nuovamente polo culturale e non solo contenitore del Museo Nazionale come spesso considerato dai cittadini romani.
Una delle iniziative più apprezzate di tale progetto è stata l’organizzazione di alcune discussioni di architettura con tema “Il nuovo nell’antico” che ha visto l’intervento di più architetti importanti e una grandissima affluenza.

Il terzo intervento è di Giorgio Manzi, paleoantropologo e direttore del polo museale della Sapienza, che ha parlato della difficoltà di gestione di un polo museale a tal punto sparpagliato per la città di Roma. l’Università la Sapienza dispone di una grande varietà di musei di settore mediamente piccoli che però, a causa della loro collocazione, sono a disposizione di un pubblico già informato e non del comune spettatore.

Prende la parola per ultima Maria Teresa Carbone, relatrice della rivista culturale Alfabeta2, che ha parlato, in riferimento ai performace studies, di una forma di protesta pop, mediatizzata, ironica e coinvolgenti che chiama alla partecipazione attraversando ambienti sia urbani sia connessi (la rete) che crea nuovi spazi pubblici, creativi e connessi.

Il protagonista del secondo panel è Daniel Pommier, ricercatore di sociologia dei processi politici e docente di “political development and democratic transition” presso il CoRiS,

Nel Panel numero 3, intitolato “Giovani, tecnologie, innovazione”, la coordinatrice Iside Castagnola, del Comitato Media e Minori, ha invitato il pubblico a focalizzare l’attenzione sul controllo da parte dei genitori sui contributi fruiti dai minori e sulla dipendenza da internet dei minori stessi.

Il dibattito è iniziato con la presentazione, ad opera delle docenti del CoRiS Sapienza Paola Panarese e Ida Cortoni, di ricerche dell’Osservatorio Madiamonitor Minori, intitolate “Giovani, comportamenti culturali e digital literacy”. Paola Panarese, partendo da una prospettiva sociologia e non psico-biologica, ha presentato due ricerche. La prima, web reputation e comportamenti online, ha riguardato l’esperienza online di 1500 ragazzi italiani che vanno dagli 11 ai 18 anni, con particolare focus su cyberbullismo e sexting. La seconda indagine, denominata Giovani e giochi pericolosi, è stata incentrata su quasi 1200 studenti di scuole superiori romane, con l’obiettivo di analizzare la conoscenza e la pratica di divertimenti estremi. Gli esiti delle ricerche hanno portato alla conclusione che alcuni ragazzi sperimentano comportamenti tradizionalmente considerati a rischio, ma i giovani non sono soggetti a priori vulnerabili e pericolosi. Sono portati a determinati comportamenti a rischio in quanto  influenzati da fattori socioculturali e individuali, e spesso considerano la dimensione relazionale più importante di quella della sicurezza.

Successivamente, la collega Ida Cortoni si è concentrata sullo scenario particolare della digital literacy. Partendo dalle 5 competenze base della competenza digitale (accesso, analisi critica, produzione creativa, consapevolezza e cittadinanza) ha mostrato i risultati di un’indagine pilota che aveva due obiettivi: capire la competenza digitale e la competenza delle azioni dei ragazzi tra 11 e 14 anni, e la relazione con scuola e famiglia. Il risultato finale mirava a mostrare il condizionamento del capitale sociale familiare sulle pratiche comportamentali del minore rispetto al digitale. La conclusione dell’indagine indicava come la competenza digitale dei figli aumenta all’aumentare dello status socioculturale delle famiglie: nelle famiglie borghesi la competenza digitale critica e più complessa rispetto alle famiglie popolari.

A seguire è intervenuto come discussant Giulio Votano dell’Agcom, che ha spiegato come il problema risieda nei strumenti di protezione, che sono rimasti ai tempi dell’analogico, non considerando un contesto così fluido come quello odierno. Occorre per lui un sistema per identificare tutti con la massima accuratezza. In questo contesto la scuola adotta poche iniziative per essere un’importantissima agenzia di socializzazione, e anche le istituzioni dovrebbero avere un ruolo di accompagnamento.

A concludere la giornata di lavori è stato Michele Petrucci, presidente del Corecom Lazio, che ha attaccato fortemente chi gestisce le piattaforme, ree di essere scarsamente propense alla regolamentazione dei contenuti. I sistemi di autoregolamentazione, così come la formazione e l’educazione civica, non sono sufficienti, occorre responsabilizzare le OTT (acronimo di Over-The-Top): le imprese che forniscono servizi e contenuti attraverso la rete internet.

      Intervista a Sona Martone, direttrice di Palazzo Venezia

 

 

Enrico Salvi, Cristina Migliorisi e Marina Taliercio.