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Primo maggio, Landini: “Quando si è precari nel lavoro non si è liberi”

“C’è bisogno di una battaglia culturale per cambiare le leggi e affermare il diritto al lavoro”. Ha ripetuto più volte il segretario generale della CGIL Maurizio Landini, intervistato da Radio Sapienza al Circo Massimo in occasione del Concertone per la festa dei lavoratori. Un’intervista in cui sono emerse le grandi difficoltà che il paese è chiamato ad affrontare per dare una svolta al mondo del lavoro. Contratti precari, modelli di produzione obsoleti, tutele insufficienti per i lavoratori, i temi toccati dal segretario Landini a margine del concertone del primo maggio.

Oggi primo maggio, festa dei lavoratori, come vede il passaggio per i giovani dal mondo dell’università a quello del lavoro? Che futuro dobbiamo aspettarci?

“Oggi c’è una condizione di precarietà molto forte nel mondo del lavoro. E quindi non vedo un passaggio facile per i giovani. C’è troppa precarietà e credo che vada cambiato. Perché quando si è precari nel lavoro non si è liberi. E io penso che le persone, anche dopo che hanno studiato devono poter ambire ad un lavoro che desiderano. E per farlo hanno bisogno di stabilità, di diritti, e di cose che oggi sostanzialmente non ci sono. Bisogna cambiare le leggi, i valori. Cambiare le leggi che in questi venti anni sono state fatte proprio per riaffermare il diritto al lavoro, ma di un lavoro fondato non sulla precarietà ma sulla possibilità di realizzarsi. Tanto più importante oggi perché siamo in un momento di grande trasformazione e bisogna cambiare anche il modello con cui si lavora e con cui si produce. E per questo è importante che l’intelligenza delle persone sia utilizzata per poter discutere anche di quello che si produce, come, con quale sostenibilità ambientale e sociale. Credo ci sia bisogno di fare una battaglia per questo perché quello che è avvenuto in questi anni è stata una svalutazione del mondo del lavoro. E penso che sia necessaria una battaglia culturale che porti a cambiare le leggi, e cambiare anche il modello di fare impresa”.

Giornate come queste, in un certo senso, possono avvicinare il mondo dei ragazzi, attraverso la musica, alla partecipazione politica? Per  diventare più consapevoli della vita democratica di questo paese. E perché no, sfidare anche in piccola parte l’astensionismo.

Certo. Io penso che ci vorrebbe anche altro. Non basta il primo maggio. Credo sia importante ricordare a tutti che è il primo maggio è la festa del lavoro, è la festa della Repubblica. Perché, in linea teorica, nella nostra Costituzione il lavoro è fondamento della democrazia. Che dà identità, non può essere considerato una merce. E, insisto, è quello strumento che permette alle persone di essere libere, cittadini attivi che possono usare la loro intelligenza e avere il diritto di affrontarla. Oggi questo non sta avvenendo. Penso che sia necessario che questi principi della nostra Costituzione diventino davvero gli elementi per rivoluzionare e cambiare il nostro paese. Per questo però c’è bisogno di una partecipazione di un mondo del lavoro, lo dico in maniera diretta: troppo diviso, troppo frantumato, contrapposto ed è poco rappresentato. Quando la gente non va a votare vuol dire che c’è una buona parte delle persone che non si sente più rappresentato da nessuno. E credo che il fattore determinante sia proprio questa frattura. Quando lavori e sei povero vuol dire che c’è qualcosa che non funziona. Perché la ricchezza di un paese la produce chi lavora. E in questo senso credo che ci sia bisogno di una battaglia da fare. E lo dico perché se penso alla mia esperienza, avendo un po’ di capelli bianchi, vedo proprio una diversità. Quando io tanti anni fa ho cominciato a lavorare avevo dei diritti e quelli prima di me li avevano conquistati. Io ho vissuto sulla mia pelle cosa  significava non essere precario e potere, attraverso il lavoro, realizzarsi, avere dei diritti e partecipare. Questo oggi non succede“.

Cosa lascia questa generazione a quella più giovane?

È un aspetto importante questo da affrontare. Me lo pongo sempre questo problema: cosa lascio a quelli che vengono dopo di me? E penso che proprio perché le nuove generazioni si trovano ad entrare in un mondo del lavoro che non ha regole. Dove c’è la precarietà non va bene, dove l’idea dei diritti rischia di essere considerata non possibile. Ecco io credo che noi dobbiamo contrastare culturalmente questa concezione del lavoro. Non è vera. Questa cosa non è vera, è stata frutto di errori fatti dal passato, dalla politica e di chi deve rappresentare il mondo del lavoro. Esiste questo problema. Questa necessità di dover cambiare questo indirizzo, perché, ripeto, è chi lavora che produce la ricchezza. E da qui bisogna ripartire. Per dare il diritto a chi lavora di poter discutere e decidere di cosa fare con il proprio lavoro. Il tema è questo. Mi permetto di cogliere questa occasione per dire che noi in questi giorni abbiamo lanciato una raccolta firme per fare dei referendum. Perché pensiamo che la precarietà si sia affermata con delle leggi sbagliate fatte  in questi anni. E la cosa da fare è cambiare questi leggi. Lo strumento che abbiamo, visto che noi in parlamento non ci siamo, è rivolgerci ai cittadini, alle persone e di chiedere un voto per affermare che il lavoro non deve essere precario, che non si può morire sul posto di lavoro nel sistema degli appalti e tutte le forme di lavoro devono avere gli stessi diritti e le stesse tutele. Una battaglia importante da portare avanti e spero di poterla fare anche insieme a voi perché questa non è una battaglia per chi oggi lavora ma per affermare un futuro diverso per tutti“.

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