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La violenza di genere tra narrazione giornalistica e dati comparati

Lunedì 6 maggio, presso la sede di Villa Mirafiori dell’Università “La Sapienza”, si è tenuta la conferenza Tre volte vittima. La violenza alle donne nel racconto giornalistico nell’ambito delle attività del Seminario di Storia delle scienze della mente e del cervello, che nell’anno accademico 2023/2024 discute della violenza di genere in tutte le sue forme.
Nel corso di quest’ultimo incontro, in particolare, la tematica centrale ha riguardato le modalità di narrazione della violenza di genere nel racconto giornalistico: ad intervenire Flaminia Saccà, professoressa di Sociologia della violenza di genere e di gender studies, con il coordinamento del professor Nunzio Allocca.

“Italia al 79esimo posto mondiale per parità di genere”. La professoressa Flaminia Saccà è partita da questo dato, facendo riferimento al Global Gender Gap Report 2023, che vede il nostro paese scivolare alla 79esima posizione (su 146 paesi) per quanto riguarda la parità di genere. “Questi sono, purtroppo, dati incontrovertibili che vengono stilati annualmente dal World Economic Forum, che prende in considerazione parametri molto precisi come il livello di partecipazione economica, politica e culturale”.

Il problema, per quanto riguarda l’Italia, è che parliamo di un fenomeno di sensibilizzazione alquanto recente: basti pensare che è solo nel 1996 che la donna è stata giuridicamente riconosciuta come vittima della violenza sessuale, che fino a quel momento era considerata un atto di lesione della moralità pubblica e del buon costume. Parliamo quindi di una questione entrata recentemente nell’agenda politica e nella storia culturale del paese. Ed è per questo che facciamo ancora fatica a dare una corretta narrazione del fenomeno, soprattutto nel mondo mediatico.

L’immagine mostra la differenza tra le reali dimensioni dei fenomeni riguardanti la violenza di genere e la copertura mediatica che ne viene data

A dimostrazione di ciò, la professoressa Saccà e il suo team hanno raccolto 16.715 articoli relativi a violenze di genere e li hanno inseriti in un software che glieli ha restituiti estrapolando le parole più frequentemente utilizzate. In questo mare di articoli non si riesce a trovare con chiarezza il colpevole della violenza: quando una donna viene stuprata, uccisa o picchiata, le parole che più frequenti nella narrazione che ne viene fatta risultano essere “donna”, “donne”, “violenza”, “carabinieri” e “casa”; le parole “uomo”, “marito” o “compagno” vengono riportate in numero infinitamente minore. Questa distorsione della realtà operata dai media tende così a deresponsabilizzare l’autore della violenza, che gode di stereotipi, bias e pregiudizi a proprio vantaggio e a svantaggio della vittima; talvolta si registra perfino una tendenza all’empatia nei confronti del carnefice ricercando, in maniera implicita o meno, le motivazioni della violenza nella condotta della vittima. Infatti, secondo i dati Istat, quasi il 40% delle persone crede che una donna che voglia evitare una violenza sessuale possa effettivamente evitarla, dividendo così la responsabilità del reato tra vittima e carnefice.
Altri espedienti narrativi che vengono utilizzati per deresponsabilizzare gli autori dell’atto sono i riferimenti a stati di alterazione psicofisica del carnefice o della vittima dovuta a sostanze stupefacenti (tradendo peraltro un doppiopesismo di fondo, in quanto la stessa identica condizione costituirebbe motivo di ulteriore responsabilizzazione in capo alla donna, mentre invece fornisce una parziale giustificazione qualora in capo all’uomo), attribuzione delle motivazioni del gesto a raptus improvvisi, malattie mentali, depressione, abbigliamento della vittima e molto altro ancora.

Come però ha giustamente sottolineato la professoressa Saccà, un ulteriore problema del fenomeno riguarda il fatto che “l’Istat non riesce a fare un monitoraggio annuale come ci verrebbe richiesto dall’Unione Europea e dalla Convenzione di Istanbul, e dobbiamo attenerci ai lavori che riescono a fare sporadicamente: l’ultimo dato sulla violenza delle donne in Italia risale addirittura al 2014, vale a dire a dieci anni fa, quindi in periodo pre-pandemico e in un mondo che è completamente cambiato”.

Questo ciclo di seminari, altamente formativo e sensibilizzante riguardo tale fenomeno, ha l’obiettivo di creare responsabilità e consapevolezza attorno a queste tematiche e rappresenta un’occasione di confronto e approfondimento per chi vorrebbe studiare queste dinamiche: ne parliamo nell’intervista che segue con la professoressa Flaminia Saccà.

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