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I “Nuovi Mali di Roma”: il convegno sulle periferie 50 anni dopo

Di Miriana Salis, Lea Amodio e Lorena Evangelista

“Ha la Chiesa, qualcosa da dire alla società di oggi? Ha da dire che il mondo attuale è inaccettabile, e che l’uomo ha la vocazione di trasformarlo e di ordinare l’orientamento del suo divenire personale e collettivo”.

Esattamente cinquant’anni fa, nel febbraio del 1974, con queste parole il cardinale Vicario Ugo Poletti apriva il convengo intitolato “La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e di giustizia nella diocesi di Roma”, destinato a rimanere nella memoria come il convegno sui “Mali di Roma”.

Proprio da quella vocazione trasformativa, deriva oggi – a distanza di anni – l’esigenza di chiedersi ancora:

“Ha la città di Roma, gli stessi “mali” di cinquant’anni fa? Quali sono i “nuovi mali” della città?”

Per rispondere a queste domande, ricordare l’incontro del ’74 e continuare a interpellare la città sui suoi problemi, il dipartimento di Comunicazione e ricerca sociale della Sapienza e l’Istituto di Studi Politici S. Pio V hanno deciso di porsi in una linea di continuità, promuovendo un articolato convegno dal titolo I nuovi Mali di Roma. Crescita delle disuguaglianze, overtourism, esclusione sociale”.

I lavori del convegno, che si articolerà nelle due giornate del 15 e 16 febbraio 2024, sono stati aperti oggi 15 febbraio presso la sede di Binario 95 di via Marsala, e continueranno presso la sede del dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale di Via Salaria.

La prima giornata è stata aperta dai saluti istituzionali del direttore del CORIS Alberto Marinelli, con una riflessione sul ruolo della ricerca scientifica nella lettura dei processi sociali. La parola è poi passata a Paolo De Nardis dell’’Istituto di Studi Politici S. Pio V, che ha ribadito l’importanza di continuare a interrogarsi sui problemi, di ieri e di oggi, perché: “solo l’analisi e la conoscenza, possono creare azione politica per trascendere i cosiddetti mali di Roma”.

A seguire, il fondatore di Binario 95 Alessandro Radicchi, con un intervento appassionato, ha richiamato all’esigenza di ripartire dalla concretezza per fronteggiare i nuovi e vecchi problemi della Capitale.

Non un caso, ma una scelta fortemente voluta, quella di dare avvio all’iniziativa proprio nella sede di Binario 95, per ripartire da un luogo che quotidianamente aiuta e accoglie gli indigenti, offrendogli uno spiraglio di speranza.

Di speranza e dignità, nel raccontare la nascita e l’intento di Binario 95, ha parlato lo stesso Radicchi a RadioSapienza: “Binario 95 nasce con l’intento di dar
e al centro di Roma, alla stazione di Roma Termini, un luogo per permettere alle persone più fragili, vulnerabili, sole o emarginate, di ritrovare un pezzetto di speranza. Questo è l’intento. In realtà poi nasce anche come luogo di confronto. Quindi il convegno di oggi è importante perché quando, circa vent’anni fa, abbiamo pensato e aperto 

Binario 95, l’abbiamo anche pensato come luogo di scambio per far crescere e alimentare la cultura della dignità”.

Atteso, in questa prima parte dell’evento, anche il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, che tuttavia non ha potuto presenziare per motivi di salute.

L’evento è poi proseguito con una prima tavola rotonda dedicata a “Roma ieri e oggi” che ha visto gli interventi di Michele Sorice, Giovanni Moro, E

lla Baffoni di RomaRicercaRoma, l’assessore alla cultura del Comune di Roma Miguel Gotor, Paolo De Nardis, Giuseppe Lumia, la presidentessa di FONDACA Emma Amiconi e Oliviero Bettinelli, vicedirettore dell’Ufficio per la pastorale sociale, del lavoro e della custodia del Creato della Diocesi di Roma. Alcuni dei relator* hanno condiviso i loro ricordi sul convegno del ’74 e hanno concordato nel ritenerlo un punto di riferimento per la ricerca sociale successiva, sia in termini di metodo che di strumenti di lavoro.

Dopo 50 anni di trasformazione della città, la sfida c

he oggi è emersa da questi primi interventi, è quella di capire cosa sia diventato quello che un tempo era il baraccato e cosa succeda tra gli emarginati della città.

Se Poletti nel ’74 auspicava a contenere il dilagare dell’egoismo e allo “spingere l’animo dei cristiani a smuovere il mondo”, oggi il mondo si può smuovere, ma soltanto entrando nella vita delle persone.

Nel pomeriggio la seconda parte del convegno, Abitare la città: paesaggi, pratiche, conflitti, si apre con l’intervento di Massimo Ilardi dal titolo “Il silenzio delle periferie romane”. Ilardi guida alla scoperta di una periferia romana che è sempre stata motore della formazione culturale, di nuovi tipi di linguaggi, moda e musica. Un laboratorio formidabile di alchimie sociali diverse, aldilà della narrazione della vita ragazzi di periferia descritti nei suoi romanzi da Pier Paolo Pasolini, una vita recintata da mura che delimitano l’area metropolitana da quella periferica, contrapposta a un forte richiamo di liberà e di mobilità. Nell’epoca di un Pugno di Dollari di Sergio Leone e Il Nome della Rosa di Umberto Eco, “Sono i ragazzi che non fanno caso ai luoghi storici che attraversano”. Afferma il relatore: “oggi la metropoli appare invece senza limiti urbani che la costringono, è innovazione culturale che vede lo scontro frontale tra fazioni”. L’appartenenza territoriale che supera quella di classe. Cultura, politica di massa e agire.

Il programma prosegue con Carlo Cellamare: “Autorganizzazione, reti di mutualismo e laboratori di quartiere nelle periferie romane”.  La definisce “implosione della città ed esplosione dell’urbano”, riconoscendo che la vita di ciascun cittadino non si svolge più nell’area del proprio quartiere, attorniato dai propri nuclei sociali ma aumentano le distanze tra le varie componenti in cui si muove una comunità: esercizi commerciali, di ristorazione, residenze, bar, servizi vari. Centri commerciali come unico luogo di incontro e scambio, principio insediativo oltre cui si erige il nulla. Periferia che non dev’essere collocata necessariamente in località sperdute per essere chiamata tale. Sono le reti sociali e commerciali a stabilire se una zona è distante o meno dal centro. D’altro lato ci sono invece decine di associazioni auto-organizzate che prendono piede nelle situazioni più difficili ma che non sempre agiscono in maniera collaborativa tra loro: laboratori e ludoteche, palestre e strutture dopo scuola, i circoli anziani. Economie locali: il territorio che fa rete cercando e promuovendo talenti. Un esempio può essere il Quarticciolo (Municipio V) con biblioteca, teatro, laboratori ed eventi.

È turno poi dell’antropologo Stefano Portelli con Il diritto di restare: autogestione e sradicamento a Ostia, litorale di Roma che riporta in discussione molte storie rimosse tra la narrazione urbana. Storie di sgomberi, sradicamenti sempre più esterni, che si propagano dall’interno verso l’esterno dei confini metropolitani. Sradicarsi dalla terra di appartenenza significa cambiare luoghi, conoscenze, costumi, abitudini. Trasferimenti di massa forzati rimasti indelebili nelle memorie dei sopravvissuti e dei loro parenti: a rimanere ben radicata è la profonda paura di essere rimbalzati fuori ancora una volta di zona in zona, fino all’Accordo anulare. Demolizioni che sono avvenute più volte nel tempo nel corso degli ultimi settanta anni e ancora oggi tra Ostia e Nuova Ostia, in molti abitano in residence nati per emergenza abitativa provvisoria, ma che da allora è rimasta tale.

Prende la parola Fabio Di Carlo con “Paesaggi come cura e rinnovamento di Roma”. Perché la parola periferia spesso nell’immaginario coincide anche con le parole campagna e paesaggio, campagne, luoghi sempre tra quelli descritti nella cronaca e nella letteratura da Pasolini, a volte come territori in stato di abbandono, altre come situazioni di vita limpida e meno frenetica rispetto alle città. Sulla parte idilliaca però è evidente dalle mappature il disagio abitativo legato ad abusivismo, alle aree verdi su cui mai si è effettuato prima pianificazioni o progettualizzazione sui quali non si è sempre agito con interventi. Affinché un “paesaggio sia attore non comparsa”, ogni risorsa offerta naturalmente dal territorio andrebbe rispettata e usufruita al meglio. Acque, parchi giochi, giardini e spazi pubblici e nuove fonti preziose d’agricoltura che incentiverebbero l’economia autoctona.

A chiudere il secondo panel c’è l’intervento di Maria Chiara Libreri, dottoranda in “Paesaggio e ambiente” dell’Università La Sapienza, dedicato a nuovi progetti di costruzione di spazi aperti nel settore Ovest del quartiere Corviale di Roma. Le proposte menzionate concepiscono modalità innovative dell’abitare il paesaggio, che diviene spazio condiviso e occasione immersiva. Cuore dei progetti è il concetto di “inclusione come cammino da progettare”, l’inclusione si qualifica cioè come una missione ultima che deve guidare la creazione di progetti in territori che mostrano in questo senso grandi potenzialità.

La prima giornata di convegno si conclude con il terzo panel, “Immagini e immaginari”, concentrato su un’analisi multidisciplinare dei dati visivi che Roma ci restituisce e gli scenari che ne emergono. Si parte da Giulia Fiocca e Lorenzo Romito (Stalker), autori del progetto “La Zattera”, finalizzato a raccontare “Una storia artistica e sociale degli ultimi a Roma nei 150 anni di Roma Capitale”; si tratta di un’operazione di recupero della memoria storica della città, in particolare dei suoi tasselli che sono stati dimenticati e marginalizzati, attraverso le realizzazioni artistiche che li rappresentano. Alla base del progetto c’è un intenso lavoro di ricerca di opere che raccontano modi alternativi di vivere la città, che ne arricchiscono la memoria e l’eterogeneità culturale. La Zattera è simbolo di memoria, in quanto oggetto instabile e precario e allo stesso tempo strumento di salvezza. Segue poi una prospettiva di osservazione della città dalla street art: questa è l’indagine alla base dell’intervento di Fabio Ciammella, che assieme a Silvia Leonzi ha analizzato le opere di street art in alcuni quartieri di Roma – in particolare è stato illustrato il caso di Tor Pignattara – per comprendere il loro ruolo nel raccontare gli spazi urbani e una peculiare ricerca di identità. Luigi Virgolin, nel suo intervento, “Il capitale turistico di Roma tra passato e futuro”, ha illustrato le dinamiche che attraversano il settore turistico della capitale e le problematiche che lo riguardano, in particolare una scarsa pianificazione del capitale turistico romano nell’ambito della competizione internazionale. A chiudere, Giuseppe Allegri, propone una serie di immagini tipiche della “notte romana”, colte da diversi momenti della storia della capitale: la notte è intesa come momento di incontro, di scambio, di libertà, come occasione per celebrare il passato e per immaginare il futuro. Si evidenzia in questo senso “un’incapacità – attuale – di interpretare la sociabilità democratica, popolana (…) di fare una mappatura di luoghi di ritrovo” che siano centri di aggregazione e di riconoscimento.

A cinquant’anni dalla prima riflessione sui “mali di Roma”, la città appare attraversata da vecchie e nuove difficoltà, alcune sono il portato della sua storia, altre sono il frutto di dinamiche economiche e sociali contemporanee: dal mondo accademico emerge però non soltanto un’accurata e sfaccettata analisi delle problematiche e della loro genesi, ma anche uno slancio di progettualità, una capacità di pensare nuovi scenari, di interrogare nuovi soggetti, di escogitare nuove soluzioni per abitare e vivere Roma.

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