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La Luna, quel “mosaico” che respira. Incontro con Giovanni De Maria

Nella giornata di mercoledì 21 febbraio, presso l’Edificio di Chimica “Stanislao Cannizzaro” dell’Università La Sapienza, si è svolto l’incontro “La Luna respira”, seminario tenuto dall’emerito professore di Chimica fisica Giovanni De Maria. Durante l’evento sono state ripercorse le vicende che gli permisero di ricevere i campioni lunari con i quali svolgere i suoi esperimenti, conducendolo alla formazione di una nuova chimica che mise in discussione tutte le tradizioni finora avvalorate. Nell’aula La Ginestra è stata dunque presentata una breve rassegna dei principali risultati di allora, evidenziando lo stretto legame di tali esperimenti con le ricerche sulla Chimica delle alte temperature – che in quegli anni il suo gruppo s’impegnava a portare avanti – e il ruolo che questo genere di studi potè giocare nella fase di rilancio degli studi lunari, oggi non soltanto auspicabile ma anche concretamente attuabile in una prospettiva di breve termine. 

Più di 50 anni fa, senza troppe aspettative, De Maria presentò alla NASA il suo progetto di ricerca sulla vaporizzazione dei campioni lunari. L’esperimento prevedeva infatti la distruzione dei campioni e, essendo consapevole della portata di tale richiesta, temeva potesse essere facilmente scartato. Contro ogni previsione, però, la NASA rimase tanto colpita e affascinata dal progetto da inviare un telegramma che ne comunicava l’approvazione. De Maria venne dunque incaricato di analizzare la composizione della fase vapore, prodotta ad alta temperatura da alcuni campioni lunari prelevati nel corso della missione Apollo 12. Questi, condotti presso l’Istituto di Chimica fisica della Sapienza, si confermarono come gli unici esperimenti distruttivi mai realizzati su campioni lunari, ed ebbero un impatto significativo nella comunità scientifica dell’epoca, attirando interesse e curiosità anche da parte dei mezzi di comunicazione di massa, soprattutto per via del rilascio di ossigeno che si osservò a temperature superiori ai 1000° C. 

Durante il seminario, il professore si è servito di una parte storica ad accompagnare la dettagliata spiegazione di tali esperimenti. In seguito ad una collisione tra la Terra e un oggetto delle dimensioni di Marte chiamato Theia, moltissimi detriti vennero scagliati nello spazio. Altrettanti, però, rimasero in orbita, aggregandosi e dando vita a quella che oggi chiamiamo Luna. Tale impatto aveva permesso alla Luna di possedere una composizione simile a quella terrestre, tanto che fu possibile realizzare un confronto tra questa e un passato del nostro pianeta; tra le differenze riscontrabili emergono le diverse intensità che le caratterizzano. La Luna, infatti, è povera di componenti volatili, tanto da poter essere pensata come un “mosaico, un ceramico stabile” che naviga nello spazio siderale. La più grande eccezione tra la Terra e il suo satellite è la presenza di Ilmenite, minerale di ferro e titanio utilizzato negli esperimenti dal professore. Invero, venne fatta costruire una fornace solare, all’interno della quale posizionarono l’ilmenite in polvere, facendola reagire e ricavandone una provetta d’acqua. Tramite poi gli esperimenti che prevedevano la distruzione del campione lunare, si ebbe l’opportunità di dimostrare la complessità della fase gassosa: questa diede luogo alla formazione di atomi di ferro, magnesio, calcio e svariate molecole presenti nelle stelle, scoperte per la prima volta da Angelo Secchi, astronomo gesuita, direttore dell’Osservatorio del Collegio Romano, padre dell’astrofisica per i suoi studi pionieristici di spettroscopia applicata ai corpi celesti e per la prima classificazione spettrale delle stelle. Si osservò poi che, anche da vaporizzato, oltre ad aver riscontrato la presenza di un 42% di ossigeno, il campione lunare risultava ancora legato in parte ad alcune molecole; un’altra parte, al contrario, era del tutto libera. Quest’ultima risulta fondamentale per il programma “Artemis”, che auspica un ritorno sulla luna “definitivo”, con l’intenzione di poterci abitare. Per una futura vita sulla Luna fu importante anche la nascita della prima mappa lunare, opera dei due gesuiti Francesco Grimaldi e Giovanni Battista Riccioli, la quale rivestì un’importanza fondamentale nella storia della selenografia. Gli autori proposero una nomenclatura che ebbe notevole fortuna, tanto da essere in uso ancor oggi per identificare le varie formazioni della superficie lunare. La storia di questa mappa – mostrata al pubblico tramite supporto di slides – risale ad un’antica credenza secondo cui le anime dei morti, dopo il trapasso, migrassero sulla luna, mito che Grimaldi aveva deciso di sfatare. Possiamo infatti osservare che, subito sotto il titolo della mappa, si legge: “Nec Homines in Lunam incolunt, nec anime in Lunam migrant”, ovvero “Gli uomini non abitano la Luna, e neppure le anime dei morti migrano sulla Luna”. La prima scoperta dei crateri si fa poi risalire a Galilei, che ne scrive nel suo “Sidereus Nuncius”. Più avanti, ai crateri, vennero dati dei nomi in onore degli illustri astronomi del tempo. 

Ai tempi dei suoi studi, De Maria faceva parte della Commission on High Temperature and Refractories, commissione che si interrogò anche sulla possibilità di sfruttare i campi lunari. Le informazioni ricavate in quegli esperimenti e in altri, condotti successivamente dal gruppo di De Maria, rappresentano, ancora oggi, l’unica fonte sperimentale diretta di informazione su alcune proprietà chimico-fisiche fondamentali delle rocce lunari, la cui conoscenza può avere ricadute importanti in settori estremamente vari: dallo studio dei processi di raffreddamento e condensazione della nebulosa primordiale, all’esplorazione dello sfruttamento di risorse e materiali lunari disponibili in situ, per la produzione di ossigeno e di altri componenti indispensabili per progetti di colonizzazione umana. Com’è noto, le prospettive aperte allora non hanno poi avuto il seguito preconizzato o auspicato all’epoca. Negli ultimi anni, tuttavia, si sta assistendo a un rinnovato e concreto interesse per la progettazione di nuove missioni lunari da parte di tutte le potenze mondiali, vecchie e nuove, guidato da molteplici motivazioni di natura scientifica, tecnologica, economica, politica.

L’incontro, nato da un’iniziativa congiunta del preside della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali Riccardo Faccini, e del direttore del dipartimento di Chimica Luciano Galantini, si è concluso con i ringraziamenti del professore e ricercatore del dipartimento di Chimica Andrea Ciccioli. Il professore ha voluto lodare la, come lui stesso ha definito, “capacità di andare dal particolare al generale” di De Maria, che negli anni 70 è stato in grado, non solo di avviare un progetto di ricerca ed esperimenti su materiali lunari, ma anche di aver elaborato una nuova chimica, permettendo appunto la nascita della Chimica delle alte temperature, mettendo in luce, con i suoi lavori, l’importanza della storia per rilanciare il futuro. 

Di seguito alcune foto dei minerali che sono stati mostrati al pubblico durante il seminario:

La Luna, quel “mosaico” che respira. Incontro con Giovanni De Maria
“Veneris crines”, Plinio

La Luna, quel “mosaico” che respira. Incontro con Giovanni De Maria
La Luna, quel “mosaico” che respira. Incontro con Giovanni De Maria

 

 

 

A fine evento, l’emerito professore di Chimica fisica Giovanni De Maria ci ha concesso del tempo per rispondere ad una breve domanda, ecco cosa ci ha detto:

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