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L’uso terapeutico della cannabis: pro e contro.

Prima dell’avvento del proibizionismo della cannabis le diverse varietà della canapa erano coltivate in tutto il mondo ed utilizzate in numerosi campi.

La pianta veniva utilizzata per la produzione di carta, fibre tessili, concime naturale ed i semi erano utilizzati sia per uso alimentare che per quello industriale come combustibile.

 Per quanto riguarda l’uso psicotropo, già antiche popolazioni come quella degli Assiri fumavano la resina secreta dai fiori di cannabis nei riti religiosi.

 Dal punto di vista terapeutico invece, la cannabis venne utilizzata dalla popolazione cinese già nel 2700 a.C. poiché ne intuì proprietà terapeutiche come l’efficacia nel caso di lacerazioni del cavo orale o nel caso di dolori interni.

 Nel Medioevo però una bolla papale ne vietò l’uso ai fedeli fino a che, nel 1937, venne approvata una legge che proibiva la coltivazione di qualsiasi tipo di canapa sia per uso industriale che per uso medico; da allora vi sono stati numerosi studi clinici per dimostrare scientificamente se le sostanze presenti nella resina- la porzione che contiene i principi attivi- apportassero dei danni o dei benefici a livello cerebrale nell’uomo.

 Il principale agente psicoattivo della cannabis è la molecola organica generalmente conosciuta come THC (tetraidrocannabinolo) che agisce a livello del sistema nervoso centrale causando ad esempio un’inibizione delle vie nervose ascendenti del dolore. Il THC ha una tossicità molto bassa, per cui non esistono casi documentati di overdose dovuta all’abuso di questa sostanza.

 Nel 2007, un’importante rivista scientifica, ha pubblicato uno studio che dimostra la minore pericolosità della marijuana rispetto ad alcol o tabacco. Nel 2009 un’equipe di studiosi dell’università di Madrid, ha dimostrato che il THC potrebbe avere degli effetti antitumorali. Infatti, in seguito a delle iniezioni quotidiane di THC su dei topi che presentavano delle masse tumorali, è stato verificato un processo di distruzione delle cellule cancerogene.

Alcuni studiosi suppongono che l’assunzione della sostanza psicotropa favorisca la neurogenesi delle cellule dell’ippocampo- l’area del cervello responsabile della fissazione della memoria- e che comporti una spiccata azione neuroprotettiva.

 Al contrario però, altri confermano che la sostanza induca la perdita di neuroni e quindi danni cerebrali e cognitivi nei consumatori abituali.

Diversi sono i campi di utilizzo dei principi attivi della cannabis terapeutica, ne sono un esempio la nausea e il vomito in chemioterapia, la stimolazione dell’appetito nei malati di AIDS, terapia del dolore o traumi cerebrali.

Proprio per questi effetti terapeutici diversi paesi hanno aperto le porte all’uso medico della cannabis. Da poco tempo anche in alcune regioni d’Italia la sostanza viene dispensata ad uso terapeutico: a Firenze, lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare (S.C.F.M.), produce dal 2014- in attuazione dell’accordo di collaborazione tra il Ministro della Difesa ed il Ministro della Salute- la sostanza attiva di origine vegetale a base di cannabis e distribuisce il prodotto su territorio nazionale per la successiva dispensazione ad uso umano.

Anche in Friuli-Venezia Giulia, da Giugno 2016, è entrata in vigore una nuova legge che consente la prescrizione della sostanza in maniera del tutto gratuita e si pone l’obiettivo di ridurre i costi dei farmaci importati dall’estero e di facilitare l’accesso da parte dei malati a queste cure.

 Infine anche il Consiglio Regionale della Campania, dal 22 Luglio 2016, ha approvato all’unanimità la proposta di legge per l’uso medico della cannabis.

L’uso viene consentito come trattamento di supporto a quelli standard quando questi ultimi sono risultati inefficaci nei casi di patologie tra cui sclerosi multipla, lesioni del midollo spinale, dolore cronico, nausea e vomito causati da chemioterapia.

Al di là delle controversie sociali e politiche sull’uso della canapa come stupefacente, bisogna porre l’accento sull’utilità della cannabis ad uso terapeutico. Pertanto ci auguriamo che la ricerca possa proseguire proficuamente ponendosi come obiettivo il benessere dei pazienti.

 

Silvia Covelli

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