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Il Drago: dalle Giornate del Cinema Romeno un thriller elegante e asfittico

La fede rende gli uomini liberi? Cos’è il male e in che modo può manifestarsi nel quotidiano? Queste sono solo alcune delle domande esistenziali che si pongono i protagonisti de Il Drago di Octav Chelaru, presentato in Italia in occasione delle Giornate del Cinema Romeno, che si sono tenute presso la Casa del Cinema di Roma dal 7 al 9 luglio. Dramma venato da ossessive sfumature da thriller psicologico, l’esordio alla regia di un lungometraggio del giovane regista romeno è un’acuta indagine sul peccato, il senso di colpa e il libero arbitrio, profondamente disturbante perché calata in un contesto più che comune.

È nella provincia romena, infatti, che si consuma la tragedia di Ecaterina (Mălina Manovici) insegnante di religione al liceo e moglie del parroco della sua città (Alexandru Papadopol). Imprigionata in un matrimonio insoddisfacente con un uomo amorevole, ma incapace di accogliere i dubbi che affastellano la mente della donna e quella di suo figlio Florin (Voicu Ivanovici), Ecaterina si ritroverà sedotta dal fascino di Iuliu (Sergiu Smeara), suo allievo sedicenne. Quando la relazione rischierà di venire alla luce, la protagonista dovrà fare i conti con la precarietà della sua situazione familiare ed emotiva. 

Un contesto, quello della quotidianità del protagonista, che il regista tratteggia con pennellate ossessive e stranianti: le cure al marito diabetico, le lezioni al liceo aperte dalla preghiera, le celebrazioni religiose in cui le viene ricordato continuamente di coprire bene il capo, le corse mattutine nel bosco che terminano con la ricompensa di un sigaretta fumata di nascosto, per sfuggire a sguardi indiscreti. Quegli sguardi giudicanti che di chi le sta intorno e che le gravano addosso come macigni: le occhiate torve della suocera che le rimprovera gozzoviglie giovanili accadute vent’anni prima, quelle ottuse del marito che non riesce ad empatizzare con il suo tormento e quelle allucinante di Iuliu, che dice di essersi innamorato della donna e non accetta alcun tipo di rifiuto.

Solo uno sguardo smette di essere spada di Damocle e diventa carezza affettuosa per la protagonista: quello della macchina da presa. Quando Ecaterina è da sola, libera di comportarsi senza dover pensare ad apparenze e decoro, Chelaru ne indaga la fisicità magra e la bellezza fanciullesca senza mai feticizzarne il corpo, ma riuscendo ad attraversare la sua pelle per portare a galla i suoi sentimenti più profondi. Quelle emozioni che trovano sul volto di Manovici il palcoscenico perfetto per manifestarsi nella loro potenza disgregante. Una simile, ma decisamente sinistra, energia distruttrice emana il volto al contempo luciferino e fanciullesco di Iuliu, cui Smeara regala un carisma disturbante.

Ecaterina implode, Iuliu esplode e il film si trasforma in un thriller angosciante in cui il gioco del campo e fuori campo trasforma l’inquadratura in una prigione asfittica. Intanto la morale cristiano-ortodossa tallona il libero arbitrio, la frustrazione divora le anime più pure e il male danza sorridendo sulle rovine di un perbenismo coatto, che ha trasformato la libertà e l’autodeterminazione in peccato mortale.

Gabriele Gurrieri

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