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“Vincere la paura”: nuove narrazioni per sconfiggere il mediaterrorismo

Vincere la paura. Una nuova comunicazione della sicurezza contro il mediaterrorismo” è il fulcro dell’incontro svoltosi il 31 maggio presso l’Auditorium Prefetto Carlo Mosca nella Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia.

La Scuola lavora da quarant’anni sull’esperienza dei saperi e delle conoscenze col fine di sviluppare nuove idee per la sicurezza, con l’obiettivo di coinvolgere tutti livelli istituzionali. L’incontro vuole essere l’insegna della formazione e dell’informazione in cui si è voluto sottolineare l’importanza della comunicazione e dei media nella diffusione della paura e nella concezione della sicurezza.

In primo luogo, si vuole affrontare come l’informazione viene trasmessa dalle forze dell’ordine e come viene poi mediata da parte del giornalismo. In quest’ultimo viene visto il punto fondamentale in cui può essere mediata una buona comunicazione per farla arrivare ai cittadini, ma anche il punto in cui si rompe qualcosa.

La paura, la sicurezza e la comunicazione sono concetti che devono essere messi insieme nei sistemi politici globali. «Nei sistemi democratici entra in gioco in oltre il concetto di libertà, quando si parla di azioni atte ad avviare protocolli di sicurezza» come specifica – il professore e preside della Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia e Comunicazione dell’Università di Roma La Sapienza – Tito Marci «e in essi questo obiettivo si può mantenere». La difficoltà di mantenere questo equilibrio si può intravedere nella contro-narrazione della comunicazione, nella narrazione contro-egemoniche, in cui nei problemi della sicurezza e della paura sono correlati non solo criticità che coinvolgono lo Stato, ma anche la società.

Nella comunicazione è importante sottolineare il ruolo dell’intermediazione e indubbiamente, in quanto mediatori, anche il ruolo dei giornalisti. La «comunicazione non è neutrale» e purtroppo con l’esplosione dell’utilizzo dei social media, si sono venute a creare dinamiche odierne in cui «dei troll specialisti usano delle tecniche non dichiarate con le quali non è possibile comprendere la genuinità delle fake news» utilizzate nelle guerre di potere tra le varie potenze definite «guerre ibride». Risulta importante, dunque, una conoscenza del problema e delle tecniche utilizzate per individuare questi meccanismi e riuscire a distinguere i fini che non vengono dichiarati dietro le fake news «per metter ai giornalisti di destreggiarsi tra le insidie dei social media» come sottolinea il Presidente della Rai, Marcello Foa.

Per combattere e prevenire queste problematiche è importante partire dalle Istituzioni, la Scuola di Formazione delle Forze di Polizia – in campo nazionale ma anche internazionale – cerca con il suo operato di perseguire questo obiettivo. Infatti, gli strumenti più idonei – per combattere antiterrorismo, la paura e l’insicurezza che ruotano attorno ad esso – risultano essere i laboratori di formazione che analizzano non soltanto gli scenari più specifici, ma anche scenari e fattori più universali, come ad esempio quello pandemico. Attraverso la conoscenza delle diverse sfaccettature, degli approcci culturali e della sensibilità, si viene a creare «la sinergia che è uno dei fulcri intorno al quale ruota il sistema della prevenzione e la punta di eccellenza di tale sinergia è data dal Comitato d’Analisi Strategica dell’Antiterrorismo che diventa una filosofia di lavoro» come evidenzia Diego Parente, Dirigente Superiore della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione.

Le esperienze, le conoscenze, ma anche la concretezza, dei fatti dell’attualità sono tutti elementi utili per attuare sistemi di sicurezza e di prevenzione. Quest’ultimi però, non sono l’unico punto d’arrivo che si prefissa il Comitato, poiché è anche importante «elaborare delle strategie che devono tenere ben presente una minaccia in continua evoluzione».

«Cattedrale degli Studi della Sicurezza», così definiva Carlo Mosca, ex prefetto di Roma, la Scuola.

Il giornalismo non si può sottrarre alle responsabilità che ha nei confronti della comunicazione, soprattutto oggi che il suo ruolo si trova «a metà strada tra potere e società». La narrazione e l’eccessiva cultura dell’odio – causata da una comunicazione allarmistica – genera un corto circuito «nel buon andamento delle cose».

La percezione è un elemento costituente nella nascita della paura e nella concezione del terrorismo e della sicurezza. «Vincere la paura significa far passare il messaggio che occorre per frenare l’ipertensione linguistica e formativa non fondata su fatti nuovi» come afferma Mario Morcellini – Direttore dell’Alta Scuola di Comunicazione e Media Digitali di Unitelma Sapienza e co-responsabile della Ricerca PRIN “Media e Terrorismi. L’impatto della comunicazione e delle reti digitali sull’insicurezza percepita”. Quando le «variabili d’impatto cambiano» perché rivengono ridimensionate, la comunicazione rimane identica e dunque è lì che sta il segreto nello studio di quest’ultima, «capire a cosa da rilievo e a cosa meno, cosa enfatizza», capendo così il suo «impatto analitico».

«La cultura della sicurezza ha bisogno di una rappresentazione sociale non filologica» ma deve essere sintetizzata e fondata su poche parole chiave, tra le quali «vincere la paura». I comunicatori e gli studiosi devo neutralizzare la narrazione allarmistica della rappresentazione della realtà per sconfiggere e l’ipertensione di cui la paura, la concezione della sicurezza e del terrorismo si nutrono.

L’impatto della comunicazione e della rete digitali sull’insicurezza percepita – oltre ad essere parte del titolo della ricerca portata avanti da Mario Morcellini e Mihaela Gavrila – risulta essere la chiave di lettura del messaggio tra i media e i terrorismi. «La complessa mappa della ricerca conferma ciò che affermava Adorno “più diffuso della distanza tra le persone e le Università è il desiderio di rompere questa distanza» come sottolinea Mihaela Gavrila – professoressa dell’Università di Roma La Sapienza – per descrivere il desiderio di coesione e di collaborazione avvenuto e venutosi a creare tra diverse Università, proprio quando nel panorama europeo era devastato dal terrorismo e dunque era debole e fragile per reagire.

Le narrazioni mediali vengono analizzate e studiate per comprendere affondo i meccanismi e i sistemi che fanno proliferare la concezione dell’insicurezza e creano paura attorno ad eventi o fatti narrati con una contro-narrazione. Questa trova terreno fertile nella disinformazione che generata anche dall’infodemia fa brulicare fake news dalla quali viene creato un clima di paura e di odio. I media tradizionali insieme anche ai social network side, sono la principale causa di questa comunicazione generata non soltanto dalla cattiva narrazione ma anche dalla «percezione dell’insicurezza». «I miracoli e i traumi della comunicazione si alternano all’interno di questo complesso composito di ricerca diventando la partitura stabile» degli strumenti mediali che molto spesso la formulazione e la struttura della comunicazione porti alla creazione di messaggi apparentemente veri ma in realtà improvvisati e non verificati o verificabili, che avvaloravano stereotipi, preconcetti e idee già preesistenti nella società, ma che con questo tipo di comunicazione hanno sempre più creato la cultura dell’odio e la concezione dell’insicurezza. «I media tradizionali hanno legittimato un regime discorsivo con cui prevalgono modalità espressive che hanno abitudine di sottrassi alle spiegazioni razionali, che sono improntate sul repertorio dell’emotività». A queste dinamiche non si sottraggono i nuovi media che contribuiscono anche loro a contribuire alla proliferazione dello stato della paura e della percezione dell’insicurezza.

Secondo Simona Sala, Direttrice del Giornale Radio Rai e di Radio Uno Rai, la radio è il mezzo che può sottrarsi a queste meccanismi di narrazione, in quanto essa non abbia «l’incubo dell’audience» ma può approfondire delle tematiche che vanno al di là delle «tre S (sesso, sangue e soldi)» utilizzate per fare scalpore e attirare il lettore. Nelle radio, soprattutto in quelle talk, si possono smorzare i toni allarmistici che generalmente generano propaganda e fomentano idee estremizzanti, per passare ad una comunicazione più dettagliata e approfondita e dunque anche affidabile. I media non possono sottrarsi alla responsabilità della costruzione della paura e dall’aizzamento dell’odio che generano un panorama di terrorismo al quale è difficile sottrarsi.

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