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Ritorno a Perugia insieme al giornalismo

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      Intervista a Mario Morcellini, commissario di AGCOM

 

Se non ci sei nato o non sei uno studente fuori sede, non capita tutti giorni di fare un giro a Perugia. Una volta all’anno però è d’obbligo, solitamente nel mese di aprile. Anche quest’anno, infatti, il Festival Internazionale del Giornalismo è riuscito a riempire il cuore d’Italia di gente per quasi una settimana.

Nella terza giornata, quella di venerdì 13, è stato approfondito da più esperti dell’informazione il tema dell’immigrazione. Ma non solo, perché a Perugia, la sveglia suona presto e gli occhi si chiudono tardi pur di seguire più panel possibili. Si va da una sala all’altra senza fermarsi. Si sta in fila anche un’ora pur di entrare e trovare posto nelle sale.
Come lo scorso anno, non poteva essere tagliato fuori da un festival come questo, il tema del digitale: teorie sui social, consigli su come creare buoni contenuti e come diffonderli, tecniche su come tenersi sempre al passo col cambiamento tecnologico ma anche come proteggersi dagli attacchi esterni in rete.

Internet e immigrazione, seppur in apparenza differenti, sono tematiche fortemente intrecciate tra loro: “Internet ha solo peggiorato la comunicazione sui migranti”, ha detto il professore e commissario dell’AGCOM Mario Morcellini, il quale insieme a Paola Springhetti, direttore di Reti Solidali, Maria Rita Valli, de La Voce, Paolo Brivio, di Italia Caritas e Paolo Giulietti, della diocesi di Perugia, ha spiegato perché è necessario e urgente creare una “comunicazione positiva” sull’immigrazione.
I media mainstream, infatti, troppo spesso cadono in una comunicazione ansiogena, che diffonde panico e terrore nei confronti degli immigrati, persone comuni in cerca di un rifugio dalla guerra.
Serve, dunque, una comunicazione diversa e il compito spetta ai giornalisti, i quali – a detta del professore – “in Italia, sembrano ignorare il fatto che se cambi stile comunicativo, qualcuno ti nota”.

 

Forse non sarebbe del tutto d’accordo, Francesca Mannocchi, la reporter freelance che il tema dell’immigrazione l’ha analizzato in maniera completamente diversa. Raccontando – insieme a Daniel Howden, redattore di Refugees Deeply e corrispondente del Guardian, Economist e Independent – tutto ciò che si nasconde dietro ai rapporti tra Europa e Libia.
“L’interesse dell’Ue è quello di ridurre i movimenti migratori, tenerli sotto controllo. Sono stati presi accordi con le milizie libiche per non far partire le navi”, ha spiegato Howden ai presenti.
Il problema è che “i giornalisti non vengono incoraggiati a conoscere la Libia fino in fondo”. Il piano Minniti, inoltre, ha portato molti cambiamenti anche alla comunicazione. La Mannocchi, infatti, ha spiegato che se prima il giornalista era affiancato solo dal fixer – in parole più semplici il traduttore – oggi viene accompagnato ovunque anche da un’altra figura, quella del minder, il quale altro non è che un’agente dei servizi segreti. A cosa serve una figura del genere? “A controllare il lavoro del giornalista” e a far passare informazioni distorte e mezze verità su ciò che accade nei centri di detenzione di Tripoli. “Gli incontri sono, a fatti, organizzati: il centro di detenzione sa quando, con chi e quanto potrà fermarsi lì il giornalista. I direttori decidono con chi farlo parlare e l’incontro può avvenire solo in presenza di un minder che controlla quello che il rifugiato dice”, ha ha spiegato la reporter, aggiungendo poi che “i centri di detenzione ufficiali a Tripoli sono circa 30, ma ce ne sono decine non ufficiali ai quali non ha accesso nessuno, neanche il più coraggioso dei fotografi o dei giornalisti, perché sono gestiti dalle mafie locali”.

Oltre alla questione libica, in questo periodo l’Ue è impegnata anche con un’altra storia. Altrettanto triste, altrettanto amara: l’omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia, uccisa con un’autobomba il 16 ottobre 2017 a Malta. Per ricordarla, due incontri organizzati da La Repubblica. Uno alle 16 e 30, durante il quale era presente anche Corinne Vella, sorella di Daphne. La quale ha colto l’occasione per ricordare a tutti i presenti che “nessuno si è fatto avanti per prendere in mano” il blog della sorella, “e invece occorrerebbe farlo in venti, in cento, perché solo così diventa impossibile eliminare tutti”.
Oltre che a Daphne, l’incontro era dedicato anche a Jan Kuciak, il cronista slovacco freddato insieme alla fidanzata lo scorso 22 febbraio, probabilmente da un gruppo italiano: si è parlato infatti di rapporti che legano la politica del Paese alla ’ndrangheta. Rapporti sui quali Kuciak indagava, visti i casi di evasione fiscale del Governo.

A fine serata, invece, sempre nella Sala dei Notari, il gruppo de La Repubblica ha presentato in esclusiva il docufilm “Daphne, l’esecuzione” realizzato dai giornalisti Carlo Bonini e Giuliano Foschini. Dopo la visione del film e il lungo applauso del pubblico, ha preso la parola Jason Azzopardi, avvocato della famiglia Caruana Galizia, il quale ha detto – riprendendo le parole del magistrato Giovanni Falcone – che per sconfiggere chi crede di aver vinto eliminando Daphne, “dobbiamo avere un forte senso dello Stato”. Uno Stato giusto e trasparente. Probabilmente, quello stesso Stato che sognava Daphne per la sua Malta.

Carmen Baffi

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