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Premio di laurea Fabio Dani: convegno sulla disinformazione e la manipolazione dei flussi comunicativi

La disinformazione nelle scienze della comunicazione è un fenomeno che sta a indicare quando l’informazione non rispecchia la stessa intenzione per cui essa è stata diffusa.

Questo concetto però deve essere distinto dal concetto di fake news con il quale si intende la notizia falsa.

Tuttavia, in entrambe i casi la responsabilità dell’individuo che usufruisce di quell’informazione è determinante.

Non è sempre cattiva la disinformazione”, afferma nel suo intervento il giornalista Giampiero Gramaglia, consigliere dell’Istituto degli Affari Internazionali.

È importante entrare nell’ottica che raccontare e informare è come “ricostruire un puzzle”, poiché nella maggior parte dei casi, durante il lavoro giornalistico, gli elementi che si hanno per raccontare un fatto sono molto pochi.

In merito a questo, dato che il convegno si è focalizzato sui meccanismi di comunicazione durante l’attuale periodo che vede coinvolte in un conflitto la Russia e Ucraina, il lavoro giornalistico in questo caso incalza perfettamente il concetto di frammentarietà degli elementi che si posseggono per raccontare un fatto.

Infatti, in una situazione di guerra chi racconta non non potrà mai avere la visione a 360 gradi di ciò che sta succedendo, poiché la prospettiva che si assume rispetto al fatto è determinante nel racconto.

Dunque l’unico segreto per una buona informazione “è la tempestività e la qualità”.

Il giornalismo non ha il compito di raccontare la verità, ma le vere categorie del giornalismo sono l’affidabilità e la verificità”, sottolinea il giornalista Gramaglia.

Nel panorama odierno, dove la digitalizzazione ha fatto breccia in tutti i settori lavorativi, anche la comunicazione e soprattutto la qualità di essa è messa a dura prova dai meccanismi imprescindibili di questa rivoluzione.

Una delle criticità maggiori derivanti dalla rivoluzione digitale nel settore comunicativo è la virilità e l’abbondanza con cui possiamo assumere notizie e informazioni.

Quando la qualità dell’informazione impedisce e scaturisce nell’infodemia, siamo difronte a una resa dell’informazione”.

In questo caso, infatti, l’informazione ha fallito. Il giornalismo ha “secondo me la responsabilità di cercare e raccontare le cose come sono”. Nel caso in cui non lo sa, perché gli elementi che si hanno sono insufficienti, allora bisogna sopperire a ciò con la cautela e la responsabilità che ciò che si sta raccontando sia in parte falso o vero o che comunque non sia un dato assoluto.

Assolutismo nell’informazione infatti è uno degli elementi caratterizzanti che devono essere un campanello d’allarme di una cattiva informazione.

Commissione europea: buone pratiche per combattere la disinformazione

Nel 2018 la Commissione Europea ha deciso di istituire un codice di buone pratiche da seguire per combattere la disinformazione.

Con la digitalizzazione la maggior parte della disinformazione scaturisce dalle piattaforme digitali e dagli altri attori che sono alla chiave nel settore del web. Questo codice ha l’obiettivo di regolamentare le piattaforme online e i vari protagonisti per contrastare la disinformazione e migliorare le loro politiche.

Come si legge sul sito ufficiale dell’ Unione Europea, il codice fino ad oggi “si è dimostrato uno strumento innovativo per garantire una maggiore trasparenza e responsabilizzazione delle piattaforme online, nonché un quadro strutturato per monitorare e migliorare le politiche delle piattaforme in materia di disinformazione“.

Durante il convegno a illustrare al meglio le linee guida dell’attuale codice e approfondire i vari rafforzamenti che la stessa Unione Europa sta mettendo in atto è stata Maria Pia Carusodirigente dell’Autorità per la garanzie nella comunicazione.

Le piattaforme online si stanno comportando come stati e come veri e propri blocchi della geolopolitica“, per questo motivo devono essere regolamentati e devono autoregolamentarsi.

Nel momento in cui si va a ledere la reputazione e la responsabilità dell’informazione il sistema su cui la comunicazione si erge viene intaccato.

Non è possibile ad oggi censura o imporre delle restrizioni, tuttavia, è possibile controllare e frenare gli effetti della disinformazione costituendo delle buone pratiche da seguire.

Prima di tutto tra le buone pratiche viene sancita la autoregolamentazione delle piattaforme e dei molteplici attori online che dovrebbero essere in grado di autogestire il flussi comunicativi.  Tuttavia, la autoregolamentazione non può essere l’unico strumento, infatti, è stato inserito tra i punti del codice anche il vaglio delle inserzioni pubblicitarie e la trasparenza della pubblicità politica e tematica.

L’integrità dei servizi, la responsabilizzazione dei consumatori e la responsabilizzazione dei verificatori di fatti e dei ricercatori sono punti cruciali per permettere il buon funzionamento del codice. Questo però non può da solo garantire l’efficacia del codice che deve comunque essere costantemente misurata e monitorata.

La dottoressa Fabiana D’Eramo vince il premio di laurea Fabio Dani

Il convegno sulla disinformazione e la manipolazione dei flussi comunicativi ha accolto nel suo evento la premiazione del Premio di Laurea Fabio Dani. Vincitrice di questo prestigio è l’elaborato di tesi di Fabiana D’Eramo, dottoressa nella laurea magistrale di Media, Comunicazione digitale e Giornalismo del dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale (Coris) dell’Università La Sapienza di Roma.

D’Eramo grazie alla sua ricerca sull’ “Autorappresentazione della Russia contemporaneamente e attuazione della politica estera tra vecchi e nuovi media: disinformazione influenza e manipolazione dei flussi comunicativi” è riuscita ad analizzare un nuovo aspetto della comunicazione.

Prendendo come elemento di analisi la comunicazione e la propaganda russa, come lo stesso relatore e professore in Sociologia delle Relazioni Internazionali Giuseppe Anzera, emerge come nella sua propaganda “la Russia abbia adoperato una strategia di soft power“. Con questo si intende la capacità di mantenere un potere politico persuadendo e convivendo l’opinione pubblica tramite risorse intangibili come la cultura, i valori e le istituzioni politiche.

La narrazione di Putin tende a giustificare le azioni e rendere lecita le varie annessioni avvenute in questi anni.

Infatti, questo tipo di propaganda e azione è già visibile “nel 2014 con la nuova Crimea dove il settore mediatico ha raccontato quell’annessione come un diverso tentativo di ricongiungimento”, sottolinea D’Eramo.

Un atteggiamento medesimo è stato adoperato dal presidente russo con il conflitto ucraino. “Hanno avuto un ruolo fondamentale la televisione e il cyber spazio. L’obiettivo è quello di togliere credibilità ai protagonisti delle vicende”.

La costituzione russa si presenta come liberale”, ma l’escalation avvenuta con le violenze e le marce su Kiev e in varie altre parti dell’Ucraina testimoniano altro.

Per disinformazione non si intendono soltanto le fake news, ma anche “la propaganda che verte le conversazione e ogni tentativo di trollare e lasciare la piattaforma”.

Tuttavia, nonostante la soft power russa sia stata in parte molto efficace internamente, non si può dire lo stesso per l’esterno. Infatti, la Russia non ha attratto un’immagine positiva all’estero,

Si sta cercando di fare un tentativo per capire come, nel contesto positivo, l’utilizzo degli strumenti per costruire un’immagine in rete da parte degli stati genera un evento che scaturisce in fiducia nei confronti delle alterità“, afferma Anzera.

Queste sono dinamiche complesse che non si possono contrastare con una chiave di lettura univoca, ma bisogna usarne una alternativa.

Uno degli effetti della disinformazione è la cosiddetta cascata delle falsità. Per impedire un’informazione incontrollata bisogna agire con mezzi e procedure impostate per il breve, medio e lungo termine.

Tra le procedure per il breve termine ci sono le azioni di debunkingossia operazioni di caccia delle notizie false.

Nel medio termine, invece, rientra il sostegno dei sistemi istituzionali e mediali, mentre per il lungo termine si tende a responsabilizzare l’individuo, poiché sarà la capacità di lettura della realtà del singolo utente a fare la differenza.

Abbiamo intervistato il presidente del nostro Dipartimento Alberto Marinelli per approfondire la questione.

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