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“‘Opera without politics’? Il caso Tosca”

      Intervista al Professor Gerardo Tocchini - My Recording

Roma, 7 marzo 2022 – Il Professor Gerardo Tocchini, docente di Storia moderna presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, è intervenuto in occasione dell’incontro svoltosi presso l’Aula “Nino Pirrotta” dell’Edificio di Lettere e filosofia. Il convegno è stato il terzo della serie “Colloquia” della sezione musicologica del Dipartimento di Lettere e culture moderne e ha riguardato il valore politico dell’Opera, in particolare della Tosca.

La Tosca è stata rappresentata nell’epoca della Questione romana, che verteva sulla legittimità del potere temporale del papato e sulla sopravvivenza dello Stato della Chiesa. Tale periodo storico è durato dal 1860 al 1929 e si è concluso con i Patti lateranensi, ovvero gli accordi stipulati nel 1929 tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Questi fatti sono stati essenziali per l’avvio del processo di secolarizzazione da parte del Parlamento. Nel novembre 1887, La Tosca di Victorien Sardou è stata inscenata per la prima volta al Théâtre de la Porte SaintMartin, a Parigi. Giacomo Puccini la vide prima a Milano e, in seguito, a Torino nel 1889; poco tempo dopo chiese di trattare i diritti con Sardou. Il vecchio librettista di Puccini, Ferdinando Fontana, venne sostituito con Luigi Illica. Superstite della terza scapigliatura, radicale, repubblicano, anticlericale e ateo, Illica aderiva alla sinistra estrema. Pur affrancando Tosca dalla visione del criptomonarchico Sardou, riadattandola alla storia italiana e al canone letterario garibaldino, Illica non poteva  agire liberamente: era il classico intellettuale di sinistra che lavorava a contratto per un editore conservatore, ovvero il Commendatore Giulio Ricordi. Lo scopo di quest’ultimo era quello di creare un’opera che non arrecasse grandi spese di messa in scena e che rispettasse la dimensione industriale affinché potesse essere presente in tutti i teatri, anche quelli delle province. Al progetto lavorarono Illica che, in quanto repubblicano, era l’esponente più radicale; Giuseppe Giacosa, monarchico e membro dell’establishment letterario piemontese, dunque moderato; Puccini, anch’egli moderato e Ricordi, conservatore illuminato, attento a non ferire la sensibilità del pubblico.

Il 1890 fu un periodo di grandi avvenimenti: la Questione romana si trascinava con numerose complicazioni sullo sfondo di importanti atti di protesta, come l’inaugurazione del monumento dedicato a Giordano Bruno a Campo De’ Fiori nel 1889, proprio nel centenario della Rivoluzione francese, e l’entrata in vigore della Legge n.401, del 19 luglio 1895,  che dichiarava il XX settembre festa nazionale. Si può inserire Tosca in questo giro di provocazioni. L’opera è stata sottoposta a numerosi cambiamenti nel corso del tempo, in particolare a causa delle contingenze dell’epoca crispina, rimanendo, tuttavia, una parabola di martirio e di libertà; un affresco usato come strumento contro un regime clericale sanguinario e oppressivo che si faceva scudo di Dio per tenere in piedi con terrore e sangue un potere fuori dal tempo.

A seguito dei moti di Milano del 1898 i cattolici iniziarono a essere visti come forza politica fondamentale per arginare questo genere di movimenti. La tensione era molto alta, tanto che Illica fu estromesso dalle fasi finali di sistemazione del libretto. Nel 1900, insieme all’autocrazia zarista, il papato costituiva l’ultimo contrafforte dell’Antico Regime. Nella Tosca si assiste alla negazione dei diritti dell’uomo, alla tortura, all’oppressione del libero pensiero, tutti fattori che portano a considerare il dramma storico e, in generale, l’arte come testimonianza preziosa di un tempo passato che vive nel presente, su cui possiamo contare dopo tanti anni.

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