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Olismo e relatività categoriale: incontro con Paolo Valore

Venerdì 12 aprile alle ore 16 si è svolta, presso l’aula seminari del Dipartimento di Filosofia in Villa Mirafiori, la lezione seminariale “Olismo e relatività categoriale: da Quine all’ingiustizia epistemica“, incontro che rientra nell’ambito del seminario di Storia della filosofia analitica promosso dai membri del PRIN 2022 Towards the History of an Heterodox Tradition in Analytic Philosophy. A presentare l’incontro il professor Paolo Valore, docente di filosofia teoretica all’Università di Milano, responsabile del progetto “Classical Paradigms and Theoretical Foundations in Contemporary Research on Formal and Material Ontology” per il programma EuroScholars USA (European Undergraduates Research Opportunities) e direttore delle collane di filosofia “Biblioteca di Problemata“.

L’incontro parte dall’opposizione nei confronti dell’ontologia da parte di Rudolf Carnap intraprendendo un percorso che, tramite una lettura retrospettiva che lega una certa impostazione della risposta a Carnap ad alcune tesi di relatività ontologica, arriva fino all’esplosione della metafisica analitica contemporanea. Paolo Valore apre il proprio intervento citando un saggio di Huw Price del 2007, “Metaphysics After Carnap: the Ghost Who Walks?“, che racconta la storia immaginaria di un filosofo che si è addestrato metà del XX secolo e che rifiuta i nuovi argomenti della metafisica tradizionale, ritenendola priva di senso. Il protagonista del racconto si addormenta in macchina (e qui l’autore richiama un gioco di parole sul nome di Carnap, che mette insieme, in lingua inglese, le parole “auto” e “pisolino”) e si risveglia ai nostri giorni; con stupore, tra le molte cose che sono cambiate in questo lasso di tempo, nota in particolar modo che l’evoluzione degli studi filosofici ha portato al superamento del pragmatismo di matrice statunitense.

Successivamente viene fatto riferimento un altro testo, “Passi verso un nominalismo costruttivo” (1947) di Nelson Goodman, in cui si sosteneva il nominalismo sulla base di una metafisica che riteneva si dovessero rifiutare le entità astratte. Per confutare questa costruzione, il professor Paolo Valore utilizza un classico esempio: la struttura di “Ci sono numeri” detto da un metafisico è la stessa struttura morfosintattica di “Ci sono numeri” detto da un matematico. Qual è la differenza? Se lo dice il secondo, sta dicendo qualcosa che all’interno della matematica è un’ovvietà; se lo dice un filosofo, n0n è più un enunciato perché siamo al di fuori della matematica: se parliamo di “numeri” dobbiamo usare framework generali che esulano dalla matematica, arrivando così all’ontologia metafisica.

Valore è poi passato all’attacco dell’empirismo logico, che ha tentato di superare la vecchia metafisica dogmatica e negare la distinzione tra questioni interne e questioni esterne assumendo “metafisici articoli di fede“, lavorando fianco a fianco con Carnap. Qui c’è la contrapposizione vera e propria tra divieto della metafisica e critica alla critica: l’empirismo sostiene la necessità di liberarsi dai dogmi, ma egli stesso lo fa tramite metafisici articoli di fede. Il primo dogma è proprio la distinzione tra analitico e sintetico, che però non coincide con la distinzione tra questioni interne ed esterne: analitico e sintetico sono due modalità differenti di verificare valore di verità a un enunciato, sono una distinzione interna alle questioni interne.

Ed è proprio questa questione che porterà Willard Quine, considerato il modello quintessenziale del filosofo analitico, a dubitare della tenuta di tale distinzione. Gli “enunciati analitici” sono quelli veri o falsi semplicemente in relazione ai significati dei termini che li compongono, senza riferimento ai fatti del mondo, come “Tutti gli scapoli non sono ammogliati“, mentre gli “enunciati sintetici” quelli veri o falsi in relazione ai fatti del mondo, come “C’è un gatto sullo zerbino“. Questa distinzione, tuttavia, dipende dalla definizione della nozione di significato, perché ogni atto di verifica su regge sulla scelta di cosa verificare: l’enunciato “Tutti gli scapoli non sono ammogliati” è considerato analitico perché si intende che il significato di “scapolo” ed il significato di “non sposato” siano identici. Se così fosse, potremmo dire che una proposizione è analitica se può essere trasformata in una verità logica rimpiazzando sinonimo con sinonimo. Quindi “Tutti gli i non ammogliati sono scapoli” si trasformerebbe in “Tutti gli scapoli sono scapoli”. In altre parole, secondo Quine, non si può fare riferimento al significato di una proposizione senza fare riferimento ai fatti del mondo e, dunque, le proposizioni analitiche e sintetiche non possono essere nettamente distinte e la distinzione deve essere posta in dubbio, se non dissolta.

A chiusura dell’intervento il professor Valore espone un proprio esempio sul significato attribuito alla nozione della morte, la cui definizione varia anche nello spazio e nel tempo, determinando quindi variazioni nella concezione di cosa (o chi) è morto e cosa no a seconda dello Stato in cui ci troviamo. E se persino cosa è vivo e cosa è morto dipende dalle definizioni che adottiamo di volta in volta, possiamo affermare definitivamente la fallacia della distinzione tra analitico e sintetico.

 

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