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Nel Far West di un’etichetta

      Intervista a Enrico Cinotti

Sostenibilità: questa una parola diffusissima, nei manifesti politici, negli striscioni pubblicitari, nelle etichette degli alimenti. Un costante e martellante riferimento alla sostenibilità, nel marketing, si pone l’obiettivo di catturare l’occhio, convincere il consumare, vincere l’acquisto. Un fenomeno che, pur rientrando nelle logiche del mercato tradizionale, può spingersi all’abuso, al paradosso e, in alcuni casi, alla bestemmia: ecco come nascono i carboni verdi, e forse, un giorno, le emissioni che non emettono e gli inquinanti che non inquinano. 

Proprio da questa considerazione, ci si dovrebbe soffermare non solo sul tema dello sviluppo sostenibile, ma anche, proporzionalmente, sulla protezione e valorizzazione del concetto concreto di sostenibilità; la quale diventa, nell’ambito della produzione alimentare, responsabilità del produttore e diritto del consumatore. Solo ultimamente, sempre più, l’attenzione si è concentrata sulla personalità giuridica dei consumatori, sulla necessità di essere tutelati e difesi da raggiri e soprusi sia in ambito contrattualistico, riguardo al quale l’Italia ha ormai una legislazione matura, sia in ambito alimentare; proprio quest’ultimo rappresenta una frontiera da tutelare sia attraverso un’attività normativa sia attraverso un’informazione corretta.

Ma – potrebbe chiedere uno studente in aula – di cosa stiamo parlando concretamente? Quando compriamo un alimento, l’etichetta presente su di esso ci fornisce numerose informazioni in modi altrettanto svariati. Proprio la loro analisi è stata oggetto del seminario tenuto lunedì 7 novembre dal dal Dott. Cinotti, vicedirettore del mensile Il Salvagente, nell’ambito del corso di Comunicazione, advocacy, consumo responsabile del Professor Marco Binotto; il risultato è stato un’immersione in un vero far west dominato da ossimori e inganni, dove, sotto il silenzio della legge, la vittima è il consumatore inevitabilmente ignaro o, semmai, confuso. 

Una serie di fattori concorrono a questa grande anarchia delle etichette: ogni qual volta vediamo scritto “senza contenuto di grassi”, possiamo essere sicuri che a quel claim nutrizionale corrisponde un lungo percorso di approvazioni, test, controlli, tutelato da normative stringenti e autorità nazionali ed europee; quando leggiamo “100% plastica riciclata*” o “amica dell’ambiente” dobbiamo compiere un atto di fede senza alcuna assicurazione. Un acquisto al buio. Eppure, a fronte della graduale crescita di una sensibilità ecologica in grado, anche, di influenzare gli acquisti, appare sempre più necessaria una qualche forma di diritto contro il green-washing. Non potete scrivere quello che vi pare” dovrebbe essere l’ammonimento in ogni aula di cultura, come lo è stato durante il seminario, rispetto ai temi dell’ecologia. Il problema della veridicità e attendibilità dei claim ambientali è una questione osservata da tempo in altre nazioni: in Francia, il Ministero della Transizione Ecologica ha da tempo obbligato le aziende a pubblicare in merito e ha avviato un servizio di controllo; anche in Italia nel novembre del 2021è stata emessa dal tribunale di Gorizia la prima ed unica, per ora, sentenza cautelare in materia di green washing contro l’azienda Miko che faceva passare, con messaggi ingannevoli, come merce 100% riciclabile e sostenibile prodotti che non lo erano.

Sul tema è in corso anche l’elaborazione di un regolamento da parte della commissione europea e qualcosa, in realtà, già esiste: la direttiva SUP indirizza le aziende ad un aumento della raccolta di PET fino al 77% nei prossimi anni e un aumento dell’uso del RIPET, ovvero il prodotto riciclato della stessa plastica. In questo caso è evidente come alcune alternative, nonostante le frequenti opposizioni delle aziende, siano possibili e come lo sviluppo sia della legislazione sia della sensibilità ambientale stia portando i produttori a qualche riflessione in più. Il limite tra corretto utilizzo e corretta informazione da una parte, e abuso e strumentalizzazione dall’altro, risulta assai delicato e la responsabilità dei consumatori deve essere sempre alta. 

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