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La sfida alla pandemia apre la Settimana della Sociologia

Si apre l’edizione 2021 della Settimana della Sociologia, ricca di iniziative in buona parte dedicate alla pandemia da Covid-19. Sono più di 40 le iniziative proposte negli atenei di tutta Italia dedicati alla sociologia e giovedì 5 novembre ha luogo il seminario che inaugura e presenta la manifestazione.

L’incontro si apre con Giancarlo Blangiardo (Presidente ISTAT), il quale  mostra subito le indagini dell’Istituto Nazionale di Statistica del 2020 relazionandole a quelle svolte negli anni precedenti. Tanti i punti critici e di riflessione come i dati raccolti sui comportamenti anti-contagio (uso della mascherina, rispetto costante della distanza di sicurezza, lavaggio delle mani, riduzione degli incontri con familiari non conviventi); +49.242 l’eccesso di decessi, rispetto a l’anno precedente, di cui il 60% per covid-19, il 10% polmonite e il 30% per altre cause e, mettendo il focus sui decessi per COVID-19 l’età media dei deceduti è di 80,2 anni, di cui il 59% uomini con maggiore frequenza di casi nel nord-ovest d’Italia rispetto al resto della penisola. Il totale dei decessi nel 2020 è quindi di 746mila individui mentre sono 143mila i nati in meno nel 2020 rispetto al quinquennio precedente. Si passa poi a istruzione ed economia, sono infatti 600mila gli studenti che non hanno partecipato alle videolezioni soprattutto stendi con disabilità e con minori risorse a disposizioni; 2 milioni, infine, le famiglie in povertà assoluta. 

Emanuela Reale (Direttrice CNR-Ircres) presenta invece un progetto volto ad analizzare i processi di adattamento/reazione individuale alle misure di contenimento sociale derivati dalla pandemia COVID-19. Con un buon bilanciamento fra uomini e donne, età, discipline e localizzazione, si è rilevato come sia aumentata la produttività (grazie alla diminuzione di tempi spesa per collegamento casa-lavoro, e diminuzione di fonti di disturbo), sono aumentati i risparmi (a seguito di una riduzione dei consumi e spese personali), luoghi e tempi per il ricercatore sono più agili. Il lavoro agile ha però penalizzato le persone con figli, soprattutto le donne single con figli e ha privato i lavoratori al confronto scientifico che si può avere in un ambiente condiviso. Il caso della pandemia COVID-19 ha portato i ricercatori a non interpretare l’evento come un cigno nero ma ad inserire i concetti di discontinuità e trasformazione nella ricerca. In conclusione: il nuovo modello di sviluppo sostenibile che tutti auspicano, a quanto pare, si muove sempre all’interno di una logica capitalistica che ha al suo centro l’aumento della ricchezza e lo sviluppo. 

Livio Gigliuto (Vice-presidente Istituto Piepoli) mostra come la digitalizzazione abbia portato i ricercatori a studiare casi prima difficili da analizzare, come gli over 65 e le comunità nelle periferie, e che a differenza delle indagini nei saloon delle automobili e nei punti vendita che si facevano fino al biennio precedente, adesso sono richieste indagini a piani ventennali. Ci si trova di fronte quindi ad un nuovo modo di fare ricerca.

In seguito Maria Carmela Agodi si sofferma sul rinnovamento di AIS (Associazione Italiana di Sociologia), di cui è presidente, e che ha fatto della propria struttura di comunicazione un luogo di condivisione di progetti, esperienze e ricerche da parte dei sociologi; luogo che ha raggiunto anche i social con una presenza quotidiana. Sul proprio sito AIS ha aperto un forum, nel quale molti sociologi hanno dimostrato di avere un forte senso di responsabilità tramite interventi: la Agodi cita quello di Stefano Tomelleri, professore di Innovazione e ricerca sociale all’Università degli Studi di Bergamo, il quale si chiede se andrà tutto bene in memoria delle vittime bergamasche del covid. Anche il primo convegno di AIS (dicembre 2020) è stato orientato dalla situazione italiana intorno alla virus: AIS ha tradotto il tema della razionalizzazione in un linguaggio che aiutasse a dare senso a ciò che stava accadendo in Italia con uno sforzo di riflessione fuori dal senso comune, che era difficile da districare a causa delle contrapposizioni nel modo in cui i media descrivevano la situazione pandemica in Italia. Questo convegno chiudeva un anno e ne apriva un altro in cui AIS ha agito ancora con l’idea che bisognasse continuare a far lavorare insieme i sociologi, coinvolgendo anche i giovani dottorandi. AIS proietta quest’esperienza nel futuro, che vede nel prossimo dicembre un nuovo convegno, stavolta incentrato sulla riproduzione sociale nella metamorfosi globale, ma sempre all’insegna del contributo collettivo dei sociologi.

Successivamente Flaminio Squazzoni, professore di Sociologia generale all’Università Statale di Milano, inizia il suo discorso parlando della conferenza del giugno 2021 di SISEC (Società Italiana di Sociologia Economica), che aveva come scopo ragionare sulla pandemia in Italia e cercare di capire quanto questo evento avesse influenzato le dinamiche economiche e sociali, e che ha trattato molti temi, tra i quali lo smart working, la povertà, la ridefinizione delle politiche sociali, la medicina di territorio e i modelli di capitalismo. Squazzoni si sofferma poi sull’importanza della presenza del sociologo nel dibattito pubblico, dovuta al fatto che spesso gli epidemiologi o i virologi, oltre a parlare di distanziamento sociale, hanno fatto assunzione sulla struttura della società dimostrando ignoranza nei confronti della sociologia. Per questo Squazzoni si aspetta una maggiore collaborazione tra le associazioni sul tema della sociologia nel dibattito pubblico, e lui stesso dice che si metterà a disposizione sulle iniziative da seguire a riguardo.

Di natura diversa è l’intervento del responsabile scientifico del Laboratorio di Sociologia delle Disuguaglianze e Differenze, Maria Luisa Bianco, che all’inizio della pandemia ha studiato i dati forniti dal Ministero per individuare le logiche di funzionamento del covid secondo una competenza sociologica. È emerso come i dati ufficiali mancassero di informazioni chiave: ad esempio dei contagiati o dei morti si sapevano solo il sesso e l’età e non gli attori sociali, più importanti per capire meglio le logiche di funzionamento del virus. La Bianco ha costruito una mappa sociale della pandemia per territorio: il covid ha colpito soprattutto le regioni dell’Italia settentrionale (che è più industrializzata rispetto al resto del Paese), in norma ci sono più contagi e decessi tra gli uomini che tra le donne e probabilità di morte molto più elevata per gli anziani; inoltre, il 70% dei contagi riguardava persone ricoverate o personale ospedaliero, il 25% le abitazioni private e il 5% gli altri luoghi di lavoro. Questa esperienza di ricerca ha dimostrato che per capire il funzionamento della pandemia è importante definire quest’ultima non come fatto virologico, bensì sociale, perché in tal modo verrebbero prese delle decisioni politiche e sanitarie diverse e si riuscirebbe a contenere i costi sociali del virus.

Chiude l’incontro Mario Morcellini. Egli non crede che il covid abbia accelerato i processi sociali già precedentemente in atto in termini di risposte sociali e comunicative al covid, perché esse sono per i sociologi il punto pregiato di riflessione. Le persone che hanno maggior capitale culturale e sociale sembrano più capaci a sfruttare l’arma della conoscenza per combattere il virus. La comunicazione è cresciuta, per via della reclusione domestica: la televisione e il digitale informativo relazionale aumentano nei momenti di alta platea, in cui la risorsa comunicativa fondamentale è il telegiornale. Dunque c’è stato un ritorno alla mediazione in comunicazione, dovuto per esempio all’aumento degli abbonamenti ai quotidiani. Morcellini si sofferma anche sul diverso armistizio tra la centralità delle reti sociali: mentre prima del virus la dominazione delle fonti di influenza sulla vita veniva dalla comunicazione digitale, dopo la pandemia è diminuito il giudizio di affidabilità dato ai social media, perché le persone hanno iniziato a fare un diverso uso dell’attenzione nei confronti di questi. In conclusione, è difficile pensare che dopo queste scoperte così rilevanti in termini di aumento di benessere personale possa ritornare la situazione precedente, perché non c’è una rincorsa agli standard precedenti e perché quando gli uomini cambiano la comunicazione, sono pronti a cambiare anche altri comportamenti: dunque secondo Morcellini il covid è stato un esercizio duro e doloroso dal quale per ora siamo usciti migliori.

Link dell’intera diretta facebook: https://fb.watch/99gIJtXcTO/

Anna Burtin ed Enrico Villani

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