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La retorica presidenziale spiegata da Rucan

Mercoledì 18 Dicembre ha avuto luogo presso la sede del dipartimento di comunicazione e ricerca sociale, presidential rhetoric in the aftermath of military intervention post WW2, l’incontro di approfondimento e dibattito su temi di ricerca trattati dai componenti della commissione internazionale del dipartimento e del Rucan.

Rucan è un’unità di ricerca del coris, che analizza attraverso la multidisciplinarità, i conflitti. Questo incontro è uno dei progetti ideati dall’unità di ricerca per informare, stimolare e coinvolgere i componenti della Sapienza nell’analisi dei conflitti attraverso l’uso della lingua inglese.

Nina Gorenc, docente dell’università di Ljubljana, ha esposto i suoi studi in ambito di comunicazione politica. Ha introdotto l’incontro stabilendo un fondamento della comunicazione politica: il linguaggio non è mai qualcosa di neutrale. Citando Teun Adrianus van Dijk, ha approfondito il tema del discorso come qualcosa di preparato, lo studioso olandese infatti affermava che il linguaggio è la predica e tutti sono il prete, quindi il discorso è più di un insieme di semplici parole.

Il potere delle parole è stato ripreso esponendo il pensiero di Harold Lasswell, politologo statunitense, che affermava la celebre frase “le parole invece che le spade”, difatti la conoscenza di una lingua è il simbolo del potere; già dall’antichità coloro che nelle tribù riuscivano a comunicare con le divinità erano potenti, ma anche adesso chi non conosce la lingua nel posto in cui si trova, o la conosce in modo sommario, può essere emarginato per questo motivo.

Si è ricordato come la propaganda non abbia la finalità di informare, ma di legittimare. La formula politically correct, è fondamentale nella politica USA, campo di specializzazione della professoressa Gorenc. Questo fino alla vittoria di Trump, il quale è completamente l’opposto: sguaiato, impertinente e che non è attento al linguaggio che utilizza. Tutto questo è mutato in modo esponenziale rispetto al lavoro che era stato fatto da Newt Gingrich, il quale per 40 anni ha istituito l’importanza del linguaggio politico, era lui che ha imposto che ogni democratico, ad ogni livello, frequentasse un corso di comunicazione politica.

Negli ultimi anni il linguaggio politico si è semplificato grazie all’avvento del populismo e quindi la sua analisi risulta più accessibile dato che il discorso politico di tale movimento si basa sulla semplicità.

Se il linguaggio è così importante in politica, vi è qualcosa che lo rende marginale, il contesto storico sociale, un presidente verrà ricordato per le sue azioni che agiscono nel contesto storico sociale, il linguaggio che utilizza è solo un ornamento o un messaggio di persuasione.

La retorica più studiata contemporanea si può trovare in Barak Obama, i suoi discorsi si basavano sulla riduzione di investimenti per la guerra e la riduzione dell’impiego degli Stati Uniti sul campo di battaglia, ma è stato proprio lui a investire sulla guerra. Per capire meglio il politically correct e l’arte oratoria, la professoressa Gorenc ha analizzato in aula il discorso di premiazione di Obama per il Nobel per la pace: da questo discorso emerge l’egemonia (il ruolo eccezionale degli USA) e l’engagment (il senso del dovere). Così da farci capire che la retorica della guerra è usata anche in momenti di calma apparente, ripresa per l’appunto da Trump, per istaurare di nuovo un senso del dovere, gli Stati Uniti sono il paese più potente che hanno il compito di risolvere ogni conflitto.

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