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Homolù Dance la mostra di Franco Cenci al MLAC

Homolù Dance, 2019

      Intervista a Julie Pezzali

Franco Cenci (1958) è un artista poliedrico che si occupa di arte visiva. Riesce a fondere nella sua arte ispirazioni e tecniche diverse. Le conoscenze acquisite nel passato universitario, proprio alla Sapienza Università di Roma, si intrecciano all’influsso di letture, storia e spunti personali. Nella sala dell’esposizione si fondono le diverse associazioni, stimolando lo spettatore in una continua dialettica visiva e mentale.

L’inaugurazione della mostra si è tenuta il 28 novembre al Museo Laboratorio di Arte Contemporanea della Sapienza e ha avuto come curatrici Julie Pezzali e Antonella Sbrilli. Il nome Homolù Dance è un gioco di parole ripreso dal saggio Homo Ludens (1938) di Johan Huizinga. Cenci parte da qui per proporre una nuova figura di uomo contemporaneo scanzonato, giocoso.

Il fulcro dell’esposizione è proprio l’installazione chiamata Homolù Dance. Essa invita i presenti, attraverso la loro attiva partecipazione, a sciogliersi in una posa bizzarra e a diventare parte del gioco dell’opera (v. foto). Il gioco è, infatti, il simbolo dell’intero evento. Tutti i lavori proposti ne contengono una dimensione. Si passa dal calcio, che fa da sfondo a un gioco da tavolo, Puzzle (2017), a forme geometriche che creano giochi di ombre sulle pareti, Le cube c’est moi (1994). Infine si arriva ai Rebus (2018): giochi estrosi che svelano informazioni inedite e personali.

Molto importante è anche la letterarietà. Ciò si evince sia nel già citato titolo dell’evento, ma anche in Dedalus (2019).  Cenci raffigura nel suo Dedalus stampe fotografiche di famosi artisti da bambini. All’osservatore è lanciata la sfida di riconoscerli. L’ispirazione è Joyce e il suo romanzo Dedalus: il ritratto semi autobiografico dello scrittore da giovane.

Nel comunicato stampa della manifestazione artistica vengono individuate sette parole chiave: famiglia, sport, geometria, morte, infanzia, uccello, gioco. Esse hanno il compito di guidare l’ospite e di legare le opere in un ordine a prima vista indecifrabile. In effetti passeggiando per la sala è impossibile non accorgersi delle tematiche più disparate. Alcune scelte a livello cosciente non sono immediatamente comprensibili (come ad esempio l’inserimento di figure geometriche all’interno di un contesto scherzoso e bizzarro). Eppure soffermandosi sulle installazioni il senso dell’opera finisce per trapelare da sé.

Dedalus, 2019 (ph:Matilde Cenci)
Scatola Herrera,2017 (ph:Matilde Cenci)
Le cube c’est moi, 1994 (ph:Matilde Cenci)

Lo spettatore è continuamente spinto alla ricerca e proprio mentre è impegnato a osservare viene catturato dal gioco artistico. Tutte le installazioni creano il piacere di farsi scoprire, per rivelare una realtà diametralmente opposta alla loro apparenza.

Pannello aeroportuale (2016) somiglia al quadro di arrivi e partenze dell’aeroporto. Tuttavia, solo distanziandomene ho potuto realizzare che esso raccontava un’unica storia insieme alle opere che lo affiancavano.

Attraverso il gioco avviene, poi, il richiamo all’infanzia. Il bambino viene indagato nella sua unicità e purezza. Personalmente ho visto un collegamento obbligato tra il mondo del gioco e il mondo della fantasia. L’infanzia è quel periodo in cui la fantasia è padrona ed essa è il requisito necessario per la creazione del gioco.

Ho provato a intuire che forse il messaggio dell’artista fosse questo: un invito non solo al gioco, ma anche al ritorno all’infanzia. Un invito a separarsi dai vincoli dell’età adulta e dalle sue sovrastrutture, per lasciare libera la mente di immaginare un’idea di sé che non ha confini.

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