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Erdogan sulla via di Damasco e la cieca Europa

This picture taken from the Greek side of the Greece-Turkey border near Kastanies, shows migrants waiting on the Turkish side on March 2, 2020. - Greece was on a state of alert on March 1, 2020 as it faced an influx of thousands of migrants seeking to cross the border from Turkey, with locals fearing a new immigration crisis. More than 13,000 migrants have gathered on the Turkish side of the river which runs 200 kilometres (125 miles) along the frontier and separates them from Greece and therefore the European Union. The flow of migrants from Turkey has triggered EU fears of a re-run of the 2015 migrant emergency when Greece became the main EU entry point for a million migrants, most of them refugees fleeing the Syrian civil war. (Photo by Sakis MITROLIDIS / AFP) (Photo by SAKIS MITROLIDIS/AFP via Getty Images)

Era il 2016 quando L’Unione Europea si lavò le mani del destino di migliaia di profughi, stringendo quelle di Erdogan e inaugurando una nuova fase di storia diplomatica di cui subiamo oggi le nefaste conseguenze , con annessa vergogna. Stando a quanto fu concordato, furono ripromessi 6 miliardi di euro all’affidabile controparte turca, affinché provvedesse all’assistenza umanitaria del flusso di rifugiati  in viaggio sulla rotta balcanica, ostruendo il loro  ingresso sul territorio comunitario. La ratio del patto è piuttosto intuitiva. Le istituzioni europee confidavano nella conversione interiore del leader turco: Erdogan come San Paolo sulla via di Damasco.  Dopo le alte prestazioni di autoritarismo da manuale, auspicavano avrebbe adempiuto con diligenza e sincero attivismo al rispetto dei diritti umani. Fatto sta che oltre alle discutibili prospettive sostanziali dell’accordo, questo risulta particolarmente opinabile anche sotto il profilo formale. Infatti il patto euro-turco, che la stampa più educata definisce controverso e la politica con fantasia chiama dichiarazione congiunta, non è stato approvato secondo l’iter normativo comunitario in materia di trattati e, in più, avrebbe infranto alcune disposizioni internazionali in merito al diritto di asilo.

Con tali preoccupanti presupposti e la costante cecità internazionale di fronte il massacro del popolo curdo, siamo tristemente giunti al 2020. Dopo quattro lunghi anni, mentre il mondo intero cerca disperatamente l’immunità dal corona virus, Erdogan ha avuto una terribile ricaduta del morbo della tirannide sanguinaria. Ha deciso di far merce della pelle di migliaia di profughi, per i propri interessi geopolitici. Infatti dopo la morte di 36 soldati turchi nel nord ovest della Siria, il leader di Ankara, lamenta di essere stato abbandonato dal sostegno europeo contro le forze governative siriane, alleate alla Russia. Lancia dunque un vero e proprio ultimatum: se non saranno esaudite le sue richieste, lascerà aperte le proprie frontiere, permettendo a migliaia di profughi di raggiungere il confine con Grecia e Bulgaria lungo la rotta balcanica.  L’Europa questa volta non può giocare a Ponzio pilato e faccia a faccia con il problema, ha avuto anche lei l’illuminazione divina, non tardando più a condannare Erdogan come crudele nemico dei diritti dell’uomo. Purtroppo tale presa di coscienza arriva forse troppo tardi, quando l’ONU ha già contato centinaia di migliaia di migranti in viaggio o respinti da divise antisommossa e gas lacrimogeni alle porte della democratica Europa. E la pressione migratoria aumenterà. Secondo le minacce di Erdogan si arriveranno a contare addirittura milioni di richiedenti asilo. Per ora i confini sono violentemente blindati per donne, uomini e bambini che in alternativa tentano di approdare in Europa, azzardando la fuga via mare. I presidenti di Commissione Ue, Parlamento europeo e Consiglio europeo, Ursula von der Leyen, David Sassoli e Charles Michel, oggi, 3 marzo, visiteranno la frontiera tra Grecia e Turchia con il premier greco Kyriakos Mitsotakis che ha intensificato i livelli di protezione dei confini. Inoltre domenica sera sempre Mitsotakis ha sospeso l’esame delle richieste di asilo invocando il comma 3 dell’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Secondo tale disciplina «qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi», l’Unione può adottare speciali “misure temporanee” con una sua libera interpretazione di cosa si intenda per quest’ultime. Intanto i media turchi hanno annunciato un incontro tra Erdogan e Putin per il 5 marzo a Mosca. I possibili risvolti rimangono tragicamente incerti.

In ogni caso i tempi della diplomazia devono assolutamente accelerare perché la disperazione non attende e miete vittime che in un macabro silenzio, sfilano sulle testate giornalistiche in una meccanica relazione dell’orrore. Come per il piccolo di 5 anni, affogato durante lo sbarco di fortuna tentato lungo le coste dell’isola di Lesbo. Non ci sarà quotidiano che non racconterà la tragedia, ma non ci sarà europeo che saprà il suo nome, la sua storia. Forse ci stiamo abituando alla morte, o meglio alla morte di quei tanti nati nell’angolo di mondo disgraziato, dove rimanere è un suicidio. Tuttavia cercare rifugio altrove lo è altrettanto.La grande tradizione giuridica, fondamento e vanto dell’Europa, si infrange e polverizza lungo i nostri confini militarizzati. Oltre il filo spinato la vista si offusca ed essere umani non basta per il diritto a una vita dignitosa. Le reminiscenze storiche che questo quadro evoca sono agghiaccianti e il monito diAnna Shea di Amnesty International è allora inattaccabile: “smettetela di pagare altri paesi per fare il vostro lavoro sporco e lasciate che le persone si muovano in sicurezza»

Giulia Di Censi

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