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“Corridoi Umanitari”: l’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio a favore dei rifugiati

Nella Sala Lauree del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza, giovedì 16 maggio 2023 si è svolto un incontro riguardante la protezione e i diritti dei rifugiati, in particolare l’iniziativa “Corridoi Umanitari“, ideata dalla Comunità di Sant’Egidio, un movimento laicale dedito alla preghiera e alla comunicazione del Vangelo, per accogliere in Italia i rifugiati.

L’immigrazione spiegata dal prof. Augusto D’Angelo

L’evento si apre con il saluto di Augusto D’Angelo, professore ordinario di Storia Contemporanea presso La Sapienza, che spiega come il Dipartimento di Scienze Politiche abbia già organizzato in passato degli incontri sugli immigrati: per esempio la presentazione da parte di Nanni Moretti del suo film “Santiago Italia”, che tratta la storia di 600 profughi cileni che nel 1973 furono accolti in Italia. I Corridoi Umanitari sono andati oltre, poiché hanno coinvolto già circa 6000 persone. Il tema dell’immigrazione, spiega D’Angelo, è difficile da trattare in questo mondo diffidente nei confronti dell’accoglienza. Tuttavia, egli ritiene che collaborando a quest’iniziativa sia possibile porre le basi di un fenomeno storico in evoluzione.

Giancarlo Penza spiega l’iniziativa dei Corridoi Umanitari

In seguito la parola passa a Giancarlo Penza, responsabile del servizio anziani della Comunità di Sant’Egidio. Egli afferma subito che da stati come Libano, Etiopia, Cipro e molte altri sono arrivati in Italia circa 6500 richiedenti asilo, in fuga dalla guerra e dalla fame, e privati dei propri diritti umani: un fatto unico in Europa. Secondo Penza, la storia non si svolge fuori dalla nostra vita, ma fare la storia significa prendere iniziative e rischi. Proprio così sono nati i corridoi umanitari: la comunità di Sant’Egidio non accetta il mondo così com’è, bensì si mobilita.

Dopo la crisi economica del 2008, spiega Penza, iniziò la guerra in Siria, e di conseguenza il forte afflusso di richiedenti asilo nella parte nord del Mediterraneo: questo ha generato un irrigidimento delle politiche d’accoglienza in Europa. L’Italia ha sospeso i 250 mila permessi l’anno di media che aveva, riducendo quindi la possibilità di permanenza nel proprio territorio ai richiedenti asilo. Così facendo però, si poteva entrare nel nostro Paese solo dichiarandosi un rifugiato politico: di conseguenza, in Italia solo 7 richieste di asilo su 100 erano accolte legalmente.

Penza rivela che la Comunità di Sant’Egidio ha creato i Corridoi Umanitari soprattutto per via dell’aumento dei morti in mare, che nel 2022 sono stati oltre 3000. Ma l’iniziativa è nata anche a causa della problematica di un diritto ampiamente riconosciuto: l’Europa ha ampliato le tutele per i richiedenti asilo, ma mentre aumentano le possibilità di protezione, esse diventano inaccessibili perché la presentazione della domanda è consentita solo in modo illegale (affidandosi ai trafficanti di uomini). La Comunità di Sant’Egidio cerca di risolvere questo paradosso.

La proposta di “immaginazione alternativa” della Comunità

L’immaginazione alternativa è quella di un mondo libero dai trafficanti di uomini e dai morti in mare, e quella di una società che sappia integrare. Per realizzare tutto ciò, un team di esperti della Comunità di Sant’Egidio ha proposto al governo italiano un accordo che permetta il rilascio dei visti in base ad alcuni criteri di selezione. Se il richiedente asilo entra in Italia tramite il visto legale, vi deve restare richiedendo l’asilo politico: egli sarà valutato in base alla sua storia e alle sue condizioni. Dunque alla base dei Corridoi Umanitari c’è la presenza nei Paesi di transito (es. Etiopia, Iran, Libano…) dei suoi operatori, che intervistano i potenziali beneficiari. Questo metodo di selezione si è rivelato efficace, in quanto le domande sono state tutte accolte. Tra i criteri d’eleggibilità, Penza riporta la vulnerabilità, basata sull’età o sulle condizioni di salute (es. una donna vedova coi figli piccoli), e la rete di legami di parentela o amicizia, che facilita il processo d’integrazione: entrare nella quotidianità intima degli italiani favorisce l’accesso diretto alle abitudini del Paese (molti frequentano l’Università, altri hanno trovato lavoro, tutti i bambini si iscrivono a scuola).

Pullfactor e Pushfactor: chi sono i beneficiari?

Il dibattito pubblico sulla migrazione in Italia si concentra solo sui problemi interni, tant’è che si parla di “pullfactor” (fattore attrattivo) e si è arrivati a criticare i salvataggi in mare come se fossero un pullfactor da evitare. Ma l’Europa ha un grande benessere e grandi diritti umani, e secondo Penza bisogna riflettere sui “pushfactor“, cioè i motivi per cui da molte parti del mondo si va via. Un esempio significativo è rappresentato dall’Eritrea, dove oggi tutti i ragazzi e le ragazze vengono arruolati nell’esercito all’età di 17 anni: soprattutto per questo motivo, essi scappano e diventano clandestini nello stesso Paese.

Penza afferma che ogni anno la Comunità di Sant’Egidio celebra “Morire di Speranza”, una preghiera ecumenica in memoria di coloro che non ce l’hanno fatta. Grazie a loro, e grazie anche ai rifugiati che invece sono riusciti nel loro intento, oggi esistono i Corridoi Umanitari.

La testimonianza di Anna Jabbur

L’evento termina con l’intervento di Anna Jabbur, una ragazza siriana che racconta la sua storia. Da quasi due anni e mezzo, insieme a suo marito e a sua figlia è arrivata in Italia da Aleppo, città della Siria dov’è nata e cresciuta, ricca di storia e di industria. Lì vivevano tranquillamente, avevano un lavoro e molti amici. Tuttavia, quando ad Aleppo scoppiò la guerra, distrusse tutto. Lei e la sua famiglia hanno visto morire da vicino i loro amici. Per salvare la figlia, nata nel 2016, Anna e il marito decisero di partire. Giunti in Libano, la situazione peggiorò, per via del razzismo contro i siriani. Tuttavia, lì Anna scoprì l’iniziativa dei Corridoi Umanitari, che avrebbe consentito a lei, a suo marito e a sua figlia di vivere in tranquillità.

Così, nel Natale 2020 arrivarono in Italia e notarono che tutto era diverso: le persone li accoglievano col sorriso e non li hanno mai fatti sentire soli. D’altronde i rifugiati, afferma Anna, non hanno bisogno solo di una casa e di un posto sicuro, ma anche di amicizia e di aiuto nell’integrarsi e nel superare la lontananza dal Paese nativo. Anna pensava che sarebbe stato difficile ambientarsi in un Paese nuovo e imparare una nuova lingua, ma per lei la Comunità di Sant’Egidio è stata come una famiglia, perché le ha dato speranza e l’ha presa per mano.

Oggi la situazione è serena: sia lei che suo marito lavorano, mentre la figlia Pamela di 7 anni studia regolarmente a scuola. Ora hanno un futuro e possono sognare di nuovo: l’importante è che siano vivi in pace. Essa è la vera forza che può nascere nel cuore e nei pensieri delle persone, nonché l’unica soluzione per vivere felici.

Infine, abbiamo chiesto ad Anna Jabbur come ha vissuto la pandemia dato che è giunta in Italia proprio durante la crisi.

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