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Ci vorrebbe un Caffè alla BCE: la lezione interrotta di un economista riformatore all’Europa

A trent’anni di distanza dalla misteriosa scomparsa di Federico Caffè, lunedì 10 aprile presso il Dipartimento di Economia e diritto della Sapienza si è tenuto un convegno per ricordare la figura e l’opera dell’economista italiano.

La sua acuta sensibilità di uomo e studioso lo portò, primo fra tutti, a comprendere quella che era la reale situazione socio-economica in Italia e a livello europeo e a sviluppare già negli anni’70 e ’80 un pensiero critico rispetto alla prospettiva di un mercato unico sovranazionale. Pur apprezzando i principi fondativi ispiratori, già nel secondo dopoguerra, dell’idea di Comunità, il più ampio progetto di una integrazione economica europea con un mercato unico e zone di libero scambio lo trovò subito scettico, ancor prima dell’introduzione dell’euro.

Con grande lungimiranza, quasi predittiva, sottolineò il rischio di una predominanza tedesca nel contesto comunitario; così come comprese le implicazioni dovute ad una eccessiva proiezione economica verso l’esterno, la quale, trascurando le condizioni specifiche delle varie nazioni, avrebbe poi portato a gravi tensioni e squilibri tra gli stati membri con particolari ricadute sull’occupazione. Infatti, già nel 1958 Caffè scriveva:”In questo processo di avvicinamento delle economie esistono diverse velocità di percorso, diverse velocità le quali creano tensioni, le quali permangono indipendentemente da ogni volontà politica”.

Lo studio della storia inoltre, come ha sottolineato Pier Luigi Ciocca dell’Accademia dei Lincei, ci insegna l’importanza di considerare l’eterogeneità dei territori che si intende unire ed integrare. Lo stesso Caffè infatti, seguendo l’autore a lui caro Francesco Ferrara, evidenziava l’errore commesso al momento dell’unità nazionale quando non furono seguite le elaborazioni e le proposte dei federalisti, laddove dal suo punto di vista il federalismo permette la calibrazione flessibile delle politiche economiche sulle specifiche condizioni di sviluppo interno, senza rinunciare per questo ai vantaggi dell’integrazione.

Per molto tempo il pensiero dell’economista italiano, come ha ricordato Roberto Baffigi, responsabile dell’archivio storico della Banca d’Italia, è stato superficialmente giudicato come un inno al ritorno del protezionismo nazionalista, ostile a qualsiasi forma di apertura e libero mercato: una erronea interpretazione frutto anche della mancanza di un opera unitaria, invece frammentata tra saggi, articoli e contributi vari.

A ricordare l’entusiasmante attualità del pensiero riformatore di Caffè anche dopo trent’anni sono purtroppo le difficoltà che deve affrontare l’Unione europea, la quale colpita da una crisi dapprima di investimenti, sente pesare ora anche la mancanza di una politica fiscale e salariale comune. Una Comunità che si comporta come una federazione e una federazione mascherata dietro il nome di Unione europea è forse il paradosso che proprio Federico Caffè, in fin dei conti, temeva.

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