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Alla Festa del cinema di Roma i “Dialoghi sul futuro del cinema”: le attrici conquistano la regia

Dialoghi sul futuro del cinema

RadioSapienza e Cinemonitor alla Festa di Roma con Alice nella Città

In occasione della Festa del Cinema di Roma, all’Auditorium del MAXXI prendono vita una serie di “Dialoghi sul futuro del cinema”, promossi dalla Fondazione Cinema per Roma e ANICA, in collaborazione con Cinecittà Spa e SIAE. Un incontro tutto al femminile, quello che ha avuto luogo sabato 21 ottobre coordinato da Piera Detassis, presidente dei David di Donatello.

Le attrici fanno sentire la loro voce diventando registe

Le protagoniste sono le voci delle attrici che debuttano, in particolare quest’anno, come registe. Attraverso l’esperienza di queste donne si riflette sulla situazione attuale del mondo del cinema. Una donna che passa dalla recitazione alla regia, che si riappropria dello sguardo su se stessa, decidendo chi essere, senza sottostare ai ruoli proposti da regie maschili, fa scalpore in quanto donna. Questa distinzione di genere è reale anche all’interno della produzione cinematografica.

Non avevo più voglia di mettermi in una situazione in cui esprimevo le emozioni a comando, ero completamente satura. Mi sono fermata dal leggere sceneggiature, focalizzandomi sulla regia. Ho intenzione di raccontare delle storie dal mio punto di vista. Anche se non so dove mi porterà tutto questo, porterò avanti il mio sguardo”. Queste le parole di Kasja Smutniak, esordiente alla regia con il suo documentario Mur, la quale racconta il suo percorso casuale all’interno del cinema, dove per anni ha interpretato ruoli di finzione all’interno di storie meno interessanti di quelle vissute.

La sua immagine soddisfava l’ideale della donna bella, non guardata interamente. In un ambiente di sottovalutazione viene alimentata la sua voglia di scommettere su se stessa. Dunque, fugge dalla visione scritta da altri e rivendica la libertà di avere il proprio sguardo.

Jasmine Trinca , vincitrice di un David di Donatello per il miglior esordio alla regia e quest’anno giudice del Festival, ammette il suo desiderio di ribaltare uno sguardo imposto non appartenente ai suoi occhi: “pensavo che nella mia posizione di attrice mai mi sarei potuta permettere di raccontare una storia. Volevo libertà nel guardare le cose nel modo in cui le vedo. Percepivo di non essere vista veramente”. Continua Valeria Golino, attrice e regista: “Quando non sei ispirato e ti senti non visto, senti di star facendo qualcosa di ridicolo umanamente”. 

Poi che anche Paola Cortellesi  che quest’anno debutta con il suo film “C’è ancora domani” alla Festa del Cinema, che uscirà in sala in undici paesi europei. “La discriminazione di genere mi ha dato stimoli per scrivere storie. Ho voglia di raccontare una storia che mi appartenesse.  Mi sono preparata al massimo per fare l’attrice, l’ho sempre voluto, ma scrivere una cosa, immaginarsela in un modo, filtrare con i propri occhi è diverso. Scatta la maturità artistica e dopo tanti anni di sola recitazione, produrre qualcosa di tuo diventa vitale”. Ci si interroga sulla fiducia presente oggi nel finanziare regie femminili. Valeria Bruni Tedeschi ricorda le sue difficoltà nel trovare finanziamenti per il suo primo film: “pensavano che il film fosse solo il capriccio di un’attrice nevrotica, invece il potermi esprimere senza limiti era una mia necessità artistica“. 

Infine, fa sentire la sua voce anche la regista Ginevra Elkan, che  si espone in merito alle carriere delle colleghe: “dal mio punto di vista da donna mi sembra normale, non mi pongo il problema del perché guardare il film di un’attrice, perché per me è una regista in piena regola”

Un cambiamento di carriera di certo suscita interrogativi: si vede dell’anormalità  in qualcosa di naturale, e questo alimenta la disparità di genere, ancora fortemente radicata all’interno della società. Immaginarsi lo stesso incontro con attori uomini fa riflettere: non incide sul loro lavoro la discriminazione di genere, non vengono etichettati in quanto uomini. Si cerca un’apparente soluzione al problema: l’ipocrisia si tinge di rosa e favorire l’empowerment femminile, attraverso campagne pinkwashing, così diventa un modo per migliorare l’immagine e ottenere l’approvazione del pubblico.

Spesso su quattro registi uomini si richiede una regista donna perché “fa bene al mercato” e non perché si crede nelle potenzialità della collega donna. Il far lavorare le donne diventa una moda e loro si ritrovano a dover dimostrare sempre un qualcosa in più in qualsiasi campo. È una continua lotta ricoprire qualsiasi ruolo. E se si è belle e intelligenti la poca credibilità e sfiducia aumentano. Le donne sono sotto i riflettori per un’eccezione e per questo fanno ancora notizia.

È una grande opportunità essere qui a parlarne, facciamoci una risata e continuiamo con il lavoro, facciamo cose belle. Bisogna approfittare di ogni opportunità per emergere“. Si esorta così a non lasciarsi influenzare dagli sguardi limitanti, non demoralizzarsi ma avere sempre la forza di ribaltare uno sguardo che non ci rappresenta. 

Anastasia Mihai 

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