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La fine di Fabo e il dibattito sull’eutanasia senza fine

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Dj Fabo è morto, riaprendo in Italia il dibattito su eutanasia, suicidio assistito e testamento biologico. Un tema sensibile, politicamente e giuridicamente scottante, che viene ancora trattato con superficialità e poca cognizione di causa, anche se sono stati tanti i casi in passato che hanno chiaramente espresso il problema. Cerchiamo di fare ordine e capire di cosa si sta parlando, dove se ne parla e perché se ne dovrebbe parlare ancora.

EUTANASIA, SUICIDIO ASSISTITO E TRATTAMENTO BIOLOGICO

Si tratta di tre situazioni diverse ed è sbagliato utilizzare questi tre termini indistintamente. L’eutanasia consiste in una somministrazione letale che pone fine alla vita del paziente per il quale non si attestano possibilità di guarigione o di condurre una vita in modo dignitoso. Può essere attiva, quando il paziente, consenziente, richiede espressamente l’iniezione, passiva quando i medici sospendono un trattamento necessario per tenere in vita il malato.

Il suicidio assistito ha implicazioni etiche e ricadute sulla responsabilità personale molto più forti dell’eutanasia, anche se sono entrambi legalmente punibili in Italia: il suicidio assistito è compiuto personalmente dal paziente e non da soggetti terzi, che scelgono di assister il malato nella sua scelta e supportarlo nel percorso, senza però incidere sulla sua responsabilità.

Di testamento biologico si parla in Italia da nove anni: non è altro che una dichiarazione anticipata di volontà sui trattamenti sanitari, un documento in cui la persona indica quali tipi di cure accetta di ricevere (o rifiuta) in caso di incidenti e malattie gravi.

EUTANASIA IN EUROPA170301_agieutanasia

Olanda, Belgio, Lussemburgo e Svizzera sono i quattro Paesi in cui l’eutanasia (attiva e passiva) e il suicidio assistito sono legalmente praticati, con dovute specifiche per ognuno, quando per eutanasia si intende uno stato di “costante e insopportabile sofferenza fisica e psichica del paziente”.

In Gran Bretagna e in Portogallo è prevista l’interruzione delle cure sono in casi estremi ma non è permessa l’eutanasia e il suicidio assistito. Francia, Spagna, Svezia, Germania e Austria prevedono solo l’eutanasia passiva (e nel caso di Spagna e Germania anche il suicidio assistito) ma rinnegano l’eutanasia attiva in ogni sua forma.

Solo l’Italia, nel 2017, non prevede alcuna norma che regolarizzi la responsabilità del paziente nel decidere sulla propria vita, mentre punisce ai sensi dagli articoli 575, 579, 580 e 593 del codice penale sia l’eutanasia che il suicidio assistito.

IN ITALIA

L’Articolo 32 della Costituzione italiana recita: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Il codice penale italiano non prevede una definizione precisa di eutanasia, ma fa rientrare la fattispecie di deliberata morte di una persona su richiesta o attraverso un atto medico nelle ipotesi di Omicidio ed Istigazione al suicidio.

Il Parlamento italiano sta discutendo ancora sul testo di legge che potrebbe legalizzare il testamento biologico, altrimenti detto Dichiarazioni anticipate di trattamento. Intanto una legge di iniziativa popolare che proporrebbe l’apertura a una nuova discussione sulla legalizzazione dell’eutanasia è stata presentata dall’ associazione Luca Coscioni.

I CASI IN ITALIA

La vicenda di Dj Fabo, che ha scelto di togliersi la vita in una clinica in Svizzera dopo le gravi conseguenze riportate da un incidente, è solo l’ultima di una lunga serie che in Italia ha aperto ad “intermittenza” il dibattito su eutanasia e suicidio assistito.

Il primo fu quello di Piergiorgio Welby, giornalista ed attivista, costretto a vivere collegato ad un respiratore automatico, che nel 2006 si rivolse direttamente al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per ottenere l’autorizzazione al distacco e vide nel 2007 l’assoluzione di Mario Riccio, il medico anestesista che supportò la scelta di Welby.

Uno dei casi con maggiore impatto mediatico fu quello di Eluana Englaro, la giovane in stato vegetativo permanente da 17 anni, la cui famiglia cominciò una battaglia giudiziaria nel 1999 per interrompere l’alimentazione forzata in quanto “trattamento lesivo della dignità umana”. Le vicende si conclusero nel 2009 dopo anni di processi, sentenze, manifestazioni che portarono alla pronuncia della Cassazione in favore della sospensione della nutrizione e dell’idratazione artificiale.

L’ultimo caso, prima di Dj Fabo, lo scorso 14 febbraio, è quello di Dario Bettamin, 70enne malato di Sla, a cui una guardia medica ha somministrato per la prima volta un cocktail di farmaci, scrivendo di un arresto cardiaco sul referto di morte.

DJ FABO E LE CONSEGUENZE

“Le mie giornate sono intrise di sofferenza e disperazione, non trovando più il senso della mia vita ora. Fermamente deciso, trovo più dignitoso e coerente, per la persona che sono, terminare questa mia agonia”, sono le parole di Dj Fabo, al secolo Fabiano Antoniani, nella lettera-testamento in cui spiega le ragioni del suo “ultimo viaggio” in Svizzera. Questo, come tutti gli altri, è un caso delicato, in cui capire dove sia la ragione è complesso: sono storie di vita interrotte, esistenze fatte di sofferenza, storie di coraggio di persone che hanno scelto di decidere responsabilmente sulla propria vita, incontrando ostacoli legali e politici sul loro cammino.

Se ci saranno evoluzioni concrete ancora non è chiaro, sembra che lo Stato italiano debba se non altro accogliere le ragioni di questi cittadini e scegliere la soluzione più giusta, in conformità alla Costituzione.

Sara Corrieri

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