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“Dalla violenza intrafamiliare al femminicidio”, l’importanza di formazione e prevenzione

Dalla violenza intrafamiliare al femminicidio. Profili giuridici, medico-sociali e psicologici

Giovedì 13 giugno 2019 presso l’aula Cesare Gerin del dipartimento di Medicina Legale dell’Università di Roma “La Sapienza”, si è tenuto il convegno dal titolo “Dalla violenza intrafamiliare al femminicidio: profili giuridici, medico-sociali e psicologici“.

L’iniziativa, promossa dal Dipartimento di Scienze anatomiche, istologiche, medico-legali e dell’apparato locomotore, ha visto l’alternarsi ai microfoni di specialisti in discipline mediche, sociali e legali per trattare un delicato argomento, quello della violenza nei confronti di donne e minori.

Professor Stefano Ricci, coordinatore scientifico dell’evento

Ad aprire il dibattito è stato il professor Stefano Ricci, coordinatore scientifico dell’evento, che ha parlato di come si siano espansi in modo prorompente i casi di femminicidio e di violenza sui minori e, in generale, nei confronti dei più deboli. Questi fenomeni accadono “perché non ci si ferma più e di conseguenza non si pensa più. Una delle principali cause è proprio questa” dice il professor Ricci indicando il proprio telefono e parlando di come la nostra società sia ormai schiava della tecnologia e della frenesia, una società in cui regna il tutto e subito.

Dopo la breve introduzione, è stata la volta della dottoressa Maria Rosaria Covelli, presidente del Tribunale Ordinario di Viterbo.

Il suo intervento, di carattere prettamente legale e giudiziario, ha sottolineato l’importanza di parlare della violenza, soprattutto quella di genere, per poter attuare in tutte le istituzioni una serie di progetti basati sulla prevenzione e all’educazione alla prevenzione. Inoltre è fondamentale creare una fitta rete di comunicazione tra gli enti e le istituzioni, per potere rispondere in maniera adeguata a tutte le richieste di aiuto. Per questo vi è una continua formazione per quanto riguarda le forze dell’ordine e in ambito giudiziario sono sempre di più i magistrati specializzati in ambito di violenza.

Dottoressa Maria Rosaria Covelli, presidente del Tribunale Ordinario di Viterbo

Quello che possiamo fare è dare una risposta tempestiva alle vittime di violenza, fornire una corsia preferenziale. Inoltre è importante la valutazione del rischio durante casi di separazione, divorzio, affidamento“, con queste parole, la dottoressa Covelli ribadisce l’importanza di collaborazione e confronto tra la Procura e il Tribunale. Oltre a prevenire casi di violenza, si deve anche contenere il rischio di recidiva dei soggetti che sono già stati denunciati.

Una cosa che non condivido è il processo mediatico che accade parallelamente al processo o addirittura prima, durante le indagini preliminari“, afferma ancora, “perché potrebbe condizionare i componenti coinvolti nel processo. Una sceneggiatura non è il delitto vero“.

Molte situazioni non vengono denunciate, per questo l’educazione alla prevenzione deve partire dalla scuola perché spesso le situazioni di violenza maturano negli ambienti familiari e un bambino che assiste ad una violenza nei confronti di un proprio parente, va preservato. La violenza non è solo quella diretta ma anche quella assistita, psicologica, sessuale ed economica.

Sono state coinvolte alcune scuole per mostrare dei processi penali simulati e la risposta degli studenti è stata molto positiva.

Non ultima, l’università deve essere un collettore di dati statistici per fornire gli strumenti necessari per studiare e affrontare questa delicata tematica, dedicando spazio e risorse.

Dobbiamo richiamare all’identità e al rispetto della persona“, conclude così la dottoressa Covelli.

Ad intervenire successivamente è stata la dottoressa Tiziana Stallone, biologa e nutrizionista, presidente di ENPAB (Ente Nazionale di Previdenza  e Assistenza a favore dei Biologi) che ha rilasciato per noi anche una breve intervista.

Dottoressa Tiziana Stallone, presidente di ENPAB

I biologi sono una professione in rosa, il 72% degli iscritti alla cassa sono donne“, inizia così Tiziana Stallone, “ma il reddito delle donne è del 24% in meno degli uomini“. Questo, spiega, perché in situazioni di difficoltà, le donne hanno un calo di reddito.

Quali sono le soluzioni da attuare affinché le donne non subiscano un tale isolamento, una tale emarginazione a causa di alcuni momenti particolarmente delicati della loro vita? Si deve supportare, ma non si parla solo di un sostegno economico ma anche psicologico, soprattutto nel post-partum. Diventare genitore è infatti un grosso passo per una donna. La cassa di prevenzione ha delle convenzioni con gli psicologi per poter dare un supporto in situazioni di difficoltà e ci sono inoltre delle borse di studio e di  lavoro per poter permettere a liberi professionisti di accedervi se stanno male, per investirli nei loro progetti. Una parte è proprio riservata per le donne e per questo è importante la presenza di un ente di previdenza e assistenza per loro.

Le casse di previdenza forniscono sia assistenza che welfare, dipendendo quindi dalla richiesta degli iscritti. Se una donna è vittima di violenza e si trova quindi in momento difficile, può chiedere aiuto alla cassa, anzi, deve, perché se non parla, la cassa non può intervenire e di conseguenza aiutarla. Presso la cassa sono presenti diversi specialisti del settore, come biologi forensi, psicologi, medici, in grado di poter indirizzare le donne verso un nuovo progetto di vita, per recuperare l’equilibrio quotidiano che è stato compromesso.

Alla fine dell’intervento della dottoressa Stallone, la parola è passata alla dottoressa Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente del Telefono Rosa che ci ha in seguito rilasciato un’intervista.

Quando le donne chiamano il telefono rosa, devono sentirsi tutelate e libere di parlare e soprattutto di agire, per questo è

Logo di Telefono Rosa
Dottoressa Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente del Telefono Rosa

importante la presenza di associazioni e di centri contro atti di violenza. “Quando è nato il telefono rosa, le forze dell’ordine e la magistratiura non erano preparati come lo sono ora. Quando una moglie andava a denunciare il marito, spesso le veniva detto “Torna da tuo marito che ti ama”, questo perchè famiglia è una cosa da difendere e non da separare” dice la dottoressa Carnieri Moscatelli. Ancora oggi molte donne rifiutano di denunciare la violenza subita dal partner perché non se la sentono di mandare il padre dei propri figli in carcere. Questo può essere uno spunto di riflessione per avere delle strutture in cui gli uomini violenti possano capire il motivo della propria violenza, oltre a stare in carcere.

Chi risponde ad una chiamata del Telefono Rosa è personale altamente specializzato, in grado non solo di ascoltare ma anche di indirizzare le donne, quindi ci sono psicologhe, assistenti sociali, mediatrici culturali, un nucleo forte che aiuta la donna ad intraprendere un percorso in grado di portarla fuori da questa situazione difficile. Non mancano chiamate di insulti nei confronti di chi sta lavorando per supportare le donne e quindi le operatrici sono state anche formate per lasciar decadere la chiamata, questo perché non venga lasciato spazio a qualcuno di poter interrompere un servizio di aiuto per chi ne ha davvero bisogno.

È necessario poi tutelare i bambini a causa della violenza assistita, altrimenti i bambini diventeranno violenti e le bambine sottomesse“, conclude la dottoressa.

A ricordare ancora una volta l’importanza della formazione dei professionisti in materie mediche, psicologiche, giudiziarie, è stato il Capitano dei Carabinieri della sezione attipersecutori RACIS, la dottoressa Francesca Lauria. “Oltre alla formazione delle operatrici che abbiamo mandato a parlare con un campione di 25000 donne, abbiamo fornito loro anche un supporto psicologico in quanto le storie e le denunce che venivano loro raccontate erano molto pesanti“, dice il capitano Lauria e continua “Qualche anno fa abbiamo fatto un’indagine chiedendo alle donne cosa fosse la violenza domestica, la violenza di genere, e solo il 7% ha risposto dicendo che è un reato, il 53% affermava che era qualcosa di sbagliato ma non un reato, mentre il 40% addirittura lo reputava come qualcosa che succede“. Nel 2014, solo il 12% delle donne ha denunciato di essere stata vittima di violenza e la maggior parte di loro l’ha subita dal partner o dall’ex partner.

Se una donna deve denunciare un atto, ovviamente si dirige alla stazione di servizio più vicina e se nel comando non c’è un militare in grado di aiutarla in modo adeguato e tempestivo, “c’è il rischio che lei se ne vada e che non torni più e questo non può succedere. Le forze dell’ordine devono quindi avere una formazione di base sull’argomento. E’ importante avere delle linee guida per chi si trova a prestare un primo soccorso presso un comando di polizia“.

Non è un caso isolato quello che la denuncia venga ritirata qualche giorno dopo essere stata sporta, quindi è presente anche un questionario per capire meglio la situazione. “La violenza non c’è il primo giorno di una relazione, ma inizia dal primo giorno, spesso non sottoforma di violenza fisica, ma psicologica“, continua il Capitano dei Carabinieri.

Le forze dell’ordine non agiscono da sole, ma come si è manifestato più volte durante tutto il convegno, è essenziale la rete di collaborazione che si viene a creare con gli infermieri del triage, i medici, gli psicologi, i biologi forensi, gli assistenti sociali, il personale dei centri di accoglienza.

A seguito delle informazioni date dal capitano Lauria, sono poi intervenute la professoressa Donatella Caserta e la dottoressa Marina Baldi.

Da sinistra a destra: Donatella Caserta, Marina Baldi, Gian Ettore Gassani, Loredana Petrone

La dottoressa Caserta è professoressa ordinaria e responsabile di Ostetricia e Ginecologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Sant’Andrea e anche lei ci ha concesso una piccola intervista alla fine dell’evento.

Quando una donna viene a denunciarci una violenza e a chiedere aiuto, dobbiamo entrare in empatia con lei, perché possa sentirsi libera di parlare” esordisce. “La violenza non si manifesta solo con i lividi. Una donna può infatti non presentare contusioni, ma magari è stata chiusa intere giornate in una stanza o le è stato vietato l’uso di carta di credito o contanti. Si tende sempre a minare l’indipendenza e l’autonomia per portare ad un completo isolamento e quindi ad un totale controllo da parte dell’offender“. La violenza economica, forse quella meno conosciuta, è molto subdola e consiste in atteggiamenti volti ad impedire che il partner abbia un lavoro e di conseguenza un’indipendenza economica, seguito da un controllo pedissequo della gestione economica familiare.

Alle donne che devono essere dimesse dall’ospedale a seguito di una violenza viene fatto fare un questionario di cinque domande e se rispondono positivamente a tre domande su 5, la donna viene messa in sicurezza e tenuta in ospedale per altre 48 o 72 ore.

L’importanza dei reperti è basilare” dice la dottoressa Caserta e a questo si collega la dottoressa Baldi, biologa forense, nel suo intervento successivo. “Quando viene sporta una denuncia si violenza, le donne devono poi porsi ad una serie di esami fisici che possono farle sentire doppiamente violate“, perché i test devono essere i più precisi possibili per non rischiare di tralasciare qualcosa di utile. Questo serve soprattutto perché c’è anche il fenomeno delle false denunce da parte di donne che vogliono strumentalizzare la violenza di genere per i propri interessi ed è per colpa loro se ai giorni nostri non riusciamo ad avere un’attività efficace e rapida.

Dal punto di vista biologico, si vanno a raccogliere tutti i dati possibili, tessuti, oggetti,  che possono aiutare a capire come si è svolta una violenza. Infatti quando una donna va al pronto soccorso, deve essere fatta spogliare su un telo per far sì che mentre si sta togliendo i vestiti, nessuna traccia possa incidentalmente essere persa, quindi deve essere un attento controllo delle contaminazioni. Non meno importante è la catena di custodia, ossia il percorso di tutte le persone che sono entrate in contatto con la vittima dal suo arrivo in ospedale fino alle sue dimissioni, trascrivendo tutto, per poter controllare se anche i tempi coincidono. Se infatti una donna se ne va dopo 45 minuti, non è possibile che abbia seguito tutto l’iter medico, poiché gli esami da fare impiegano molto più tempo. Inoltre tutti i reperti raccolti vengono sigillati, in modo che non possano essere manipolati.

A finire gli interventi della mattina, è stato l’avvocato matrimonialista Gian Ettore Gassani. “Le donne spesso non denunciano atti di violenza perché hanno paura dello scandalo e dei giudizi degli altri, in particolare dei propri familiari che dicono loro “Cosa stai facendo a tuo marito? Che penserà la gente? Tuo marito potrebbe perdere il lavoro, potrebbe essere arrestato“. Vi è una radicata paura del processo e dell’inadeguatezza del sistema portando come esempio alcuni casi di donne che non sono state ascoltate anche a seguito di multiple denunce. “In Italia, la famiglia uccide più della mafia, delle quattro mafie“, per questo è importante una campagna di prevenzione in tutto il territorio con un approccio culturale che va dai mass media, alla scuola, agli enti e alle istituzioni. “Le donne devono capire che non sono lo zerbino n’è del padre, n’è del fidanzato, n’è di qualsiasi altra persona. È importantissima la trasmissione di valori.“.

Intervista a Gabriella Carnieri Moscatelli:

      Intervista alla dottoressa Gabriella Carnieri Moscatelli

Intervista a Tiziana Stallone:

      Intervista alla dottoressa Tiziana Stallone

Intervista a Donatella Caserta:

      Intervista alla professoressa Donatella Caserta

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