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“Ci vediamo all’alba “di Zinnie Harris in scena al Teatro Torlonia dal 22 al 24 novembre 2019

“Ci vediamo all’alba” della drammaturga e regista britannica Zinnie Harris, è una favola moderna tra dolore e amore portata in scena da Francesca Ciocchetti e Sara Putignano per la regia di Silvio Peroni. Lo spettacolo si terrà dal 22 al 24 novembre 2019 presso il teatro Torlonia con la produzione di KHORA.TEATRO & COMPAGNIA MAURI STURNO.

Protagoniste di questa scena sono due donne Robyn e Hellen che si trovano insieme su una spiaggia lontana dopo un violento incidente in barca. Stordite dalla loro esperienza, cercano un percorso verso casa. Ma scopriranno che questa terra sconosciuta non è ciò che sembra e che, sebbene possano stare insieme, non sono mai state più distanti. Sembrano essere, una coppia felice contente d’essere sopravvissute; «ma dove sono? e perché non possono tornare a casa? perché Robyn è ossessionata dalle immagini di un’altra versione più terribile della realtà?»: tutto ciò è misterioso. In questa sinfonia fra perdita, desiderio e commedia, la celebre drammaturga e regista britannica Zinnie Harris crea un testo dove mette in gioco le cose che gli uomini temono di più: si immerge nella paura, nella desolazione e nell’amore intenso e quotidiano, il mistero del dolore e la tentazione di perdersi in un futuro fantastico che non verrà mai.

Il testo è ispirato, in parte alla leggenda di Orfeo ed Euridice nell’antica ricerca del partner perduto; ma i suoi echi letterari sono più ampi e profondi: da Mary Rose di J. M. Barrie a A porte chiuse di Sartre fino alla Dodicesima Notte. E quando Robyn chiederà «Che paese, amici, è questo?», la risposta è che si tratta di un paesaggio emotivo creato dall’autrice, in un classico del XXI secolo pieno di una sua poesia appassionata, del suo amore e della sua stessa disperazione.

L’ azione si svolge in un luogo visivamente appena abbozzato, alieno al naturalismo: a suggerire la morfologia dell’isola, prima che venga nominata, solo la convessità dei volumi, la presenza di una piccola elevazione sulla quale si muovono le due attrici  immerse in un ambiente disadorno.

La sensibilità di questa atmosfera perturbante è però interdetta da una qualità tecnica e verbosa della drammaturgia che allude a concetti come il «ricordo automatico della memoria muscolare», la possibilità degli universi paralleli, la captazione cerebrale dei concetti in forma di immagini.

La regia si posiziona sulla medesima linea, senza riuscire a controllare la (potenzialmente seduttiva) distanza tra la parola scientifica, evocatrice di dimensioni complesse, e la parola, più emozionale e “terrestre”, che descrive la quotidianità e la perdita. Le interpretazioni generose delle due attrici espongono in qualche modo l’ambizione e l’esigenza di maturazione del progetto, finendo loro stesse intrappolate in questa sostanziale mancanza di equilibro, non riuscendo ancora a portare a un compimento corporale e di pensiero l’intensità nominata.

La riflessione attorno a “Ci vediamo all’alba “porta alla luce varie questioni intrecciate: il buon successo di pubblico in Italia degli adattamenti teatrali di drammaturgie anglosassoni, la “funzione specchio” garantita  dall’ acutezza empatica e l’attenzione ai meccanismi attraverso i quali la scrittura riesce a tradurre la disarticolazione del pensiero e a generare un impatto sensoriale, prossimo a quello dell’esperienza. Questa modalità – tipica di alcune esperienze del modernismo letterario inglese – nel caso della scrittura teatrale è reso più complesso e significativo dalla presenza dei corpi, veicoli di una parola che si propone di sfiorare le difficili corde della sensorialità per agire su una percezione “incarnata”, attivando dunque una ricezione espansa.

«Lo spettacolo è incentrato sugli attori, sulla capacità di raccontare e sulle relazioni che si dovrebbero stabilire fra autore, attore e spettatore – racconta il regista Silvio Peroni.

Il messaggio potrebbe perdere di valore nel momento in cui l’attenzione viene focalizzata sulla spettacolarità della rappresentazione e progressivamente si perderebbe anche l’attitudine nel riflettere sul perché si è scelto di mettere in scena un determinato testo. Viene meno, dunque, la riflessione che il pubblico dovrebbe fare al termine dello spettacolo, che esuli da una prima analisi tecnica o qualitativa. Il messaggio del testo è quasi sempre più complesso e articolato della visione univoca del regista: sarà lo spettatore, che a seconda della sua provenienza sociale e culturale, percepirà in modo individuale le molteplici sfumature di un testo».

Quello di Peroni è, in qualche modo, un lavoro “di frontiera”: la teoria fisico-quantistica degli universi paralleli (già esplorata in Costellazioni) e quella neuro-scientifica della fiction tentano di convivere in questo adattamento , quello del regista per l’indagine scientifica del pensiero  che necessita di un trasferimento più organico e meno sentimentale nelle maglie di queste interessanti drammaturgie.

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