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Alessandro Barbano presenta “La gogna. Hotel Champagne: la notte della giustizia italiana”

Alessandro Barbano La gogna. Hotel Champagne, la notte della giustizia italiana

Una spystory vera, talmente vera che il contenuto raccontato è come se rappresentasse, agli occhi di chi legge, un turbamento, e non è scontato dire “ci turba”, ma stavolta è proprio così. Questa è una parziale descrizione di cosa aspettarsi nell’ultimo libro di Alessandro Barbano “La gogna. Hotel Champagne: la notte della giustizia italiana” presentato al MAXXI-Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma, in data 5 dicembre. Durante la presentazione, oltre all’autore, sono intervenuti diverse personalità vicine al mondo della magistratura e del giornalismo che hanno offerto diversi spunti critici partendo dal commento del libro.

L’incontro è stata l’occasione per una riflessione collettiva sul tema del giornalismo contemporaneo, dal rigore (forse) passato ad un futuro ancora in bilico. Il libro è ovviamente un’inchiesta, così come quello di Rosetta Loy del 2013 “Gli anni fra cane e lupo”, che fa riflettere sulle vicende opache della democrazia, la nostra democrazia. Il racconto di Barbano non ha propriamente un volto ma sicuramente ad essere messa in evidenza è una prassi nella democrazia che è preoccupante. Ce n’era davvero bisogno?

 Interviene per rispondere a questo interrogativo Sabino Cassese, il quale fotografa il libro come una microstoria che fa lezione di metodo sulle intercettazioni come fonti per le questioni amministrative. Ricostruisce, e quindi, “tesse la tela” di cosa è accaduto quel giorno della magistratura. Per gli esperti del settore cinematografico sarà noto l’utilizzo del montaggio alternato (dai primi piani al campo lungo) utilizzato come mera tecnica narrativa. Il collegamento tra le “tranche de vie” e le vicende della magistratura è un risultato sorprendente, che ha il merito di aver messo in luce il malfunzionamento della magistratura: da un’accusa modesta si allarga la questione al potere di colui che governa la procedura e a quello della procura di Roma con i suoi organi giudiziari.  La metafora per interpretare il CSM è quella di un alveare, ed è lecito chiedersi se andrebbe riorganizzato. L’intercettazione si configura come strumento pervasivo, che sia forse in opposizione alle, tanto decantate, virtù?

Il contatto tra il mondo del giornalismo e quello della magistratura (che generalmente vengono pensati come separati) viene dimostrato tramite una rete di rapporti interni, scontati, ed esterni, sorprendenti. La giustizia è, o meglio, pare essere un corpo separato ma allo stesso tempo ramificato (si pensi all’attuale pubblica amministrazione romana).  Giornali e opinione pubblica dimostrano e, dunque, fanno riflettere su chi, ad oggi, goda della fiducia pubblica; dovrebbe essere la magistratura, ma la stessa si mostra poco interessata al mondo esterno della cosa pubblica (metaforicamente è come interessarsi di un tavolo pregiato al centro di una stanza non osservando che il soffitto cade a pezzi).

Interviene l’ex presidente dei penalisti italiani, Gian Domenico Caiazza, facendo riferimento al successo della precedente opera di Barbano (“Prevenzione Patrimoniale”) per elogiare la maturità dello scrittore nell’aver effettuato un lavoro di documentazione lucida e completa, nonostante la complessità del tema. Il libro mette in fila i fatti ottenendo, quasi in maniera inquietante, un risultato oggettivo. La realtà della magistratura chiamata a scelte forti (come nel libro la nomina della procura) porta a domandarsi: come può accadere ciò? Banalmente, se accade è perché si può.

L’ascolto delle conversazioni private viene utilizzato in maniera strumentale. Intervenendo a monte andrebbe impedita questa “pesca a strascico” con il ruolo del GIP al centro della riflessione. Intervenendo a valle con chi ne abbia fatto uso che lo esponga pubblicamente. Sembrerebbe un mezzo di facile comprensione ma in realtà è uno strumento dalle capacità invasive micidiali, ed è materiale insidioso (perché mette in discussione le libertà fondamentali della persona) e non decifrabile per tutti.

Enrico Mentana, da attento giornalista televisivo,  cita immediatamente l’introduzione e la postfazione del libro per discutere di come le intercettazioni negative siano sociologicamente rilevanti per la grave vicenda dell’hotel champagne, ricostruzione di uno scontro per il potere. Della storia si conosce solo ciò che han detto i “cattivi”, nessuna sillaba dei “buoni”. La storia, purtroppo o per fortuna, è scritta dai vincitori, anche se con mezzi scorretti (“è tizio che deve mettere al tappeto caio”). Vien da chiedersi, e i membri del CSM cosa facevano in quella riunione? A discutere, ma con quale pretesto? Sembra quasi che la distinzione tra poteri venga messa all’avanspettacolo. Il racconto di Barbano descrive la lotta, maschile, al potere; le tecniche belliche, maschili, machiavelliche come mezzo per il potere della magistratura (cioè la posta in gioco). Dal 92′ con tangentopoli, oltre a favorire l’ascesa del berlusconismo, si conosco i “buoni e i cattivi” e nonostante lo scoop da indagare il Corriere della Sera e il suo direttore non vengono interrogati. In gergo calcistico, falli non fischiati e Var obsoleto evitano la condanna ai magistrati. Dalla vicenda di Palamara, che come l’ultimo dei Brutos è sempre lì a prendere schiaffoni, pare lecito domandarsi se questa realtà sia cambiata. L’evidenza e la contemporaneità forniscono, tristemente, la risposta.

L’intervento di Paolo Mieli pone un confronto tra la magistratura del secolo scorso e quella attuale. Dove prima era certezza l’essere persone per bene da parte dei magistrati (almeno nel 95% dei casi) ad oggi è difficile poter affermare la medesima realtà poiché la magistratura pare adeguarsi alla ricerca della convenienza, e se (ironicamente) continuerà di questo passo Barbano ne potrà scrivere altri 10 di libri del genere. Inoltre, potrà sembrare una casualità ma la scrittura del libro è avvenuta nello stesso periodo della riforma della magistratura. Il libro convince sul cambio di paradigma della magistratura, che se fino a 30 anni fa vedeva le inchieste come oggetto di lotta tra partiti ad oggi testimonia la presenza di “banditi” in lotta tra loro (di conseguenza, quanti Palamara moderni esisteranno?). Il caso dell’Hotel Champagne dimostra come la Repubblica possa aver tremato dalla trasformazione di “un’idiozia totale” nella quale c’è chi cavalca l’onda del caso e chi “rimane schizzato di fango”.

Flavia Perina pone l’accento sulla fotografia autobiografica dell’Italia (cialtrona come fosse un telefilm)  restituita dal libro. È evidente uno stato d’animo, presente in tutti gli interventi, di pessimismo generalizzato fronte al cambiamento dello scenario italiano: dall’Italia che non ci ha mai veramente pensato al fenomeno grillino al centro mediatico del 2013. È forse una cultura, erronea, delle istituzioni ad aver sconfinato in diversi ambiti?

Paolo Borgi e Leonardo Picardo

Interviste

Intervista a cura di Cristina Accardi