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“Lynch / Oz” esplora l’influenza che il film di Fleming ha avuto sull’inconscio creativo del regista di “Twin Peaks”

Che la poetica di David Lynch non sia di facile comprensione è risaputo. Complice anche il fatto che il regista stesso non ama svelare il significato delle proprie opere, vissute come esperienze sensoriali e non come sequenze di narrazioni logiche e ben definite. Anche da ciò scaturisce la fascinazione che i fan del cineasta hanno nei confronti del suo criptico immaginario, sempre alla ricerca di chiavi di lettura che possano in qualche modo spiegare le sue dieci opere filmiche o di indizi che ne possano svelare l’arcano. Un chiaro esempio di questa mania verso il voler interpretare ogni aspetto della poetica di Lynch è rintracciabile su Youtube, dove un utente ha cercato di risolvere i misteri che aleggiano intorno a Twin Peaks con un video essay di oltre quattro ore. Basti ricordare, altrimenti, che Lynch stesso è stato costretto a rivelare l’assassino di Laura Palmer dai produttori di ABC, inceppando così il surreale alone di mistero che aleggiava intorno alla seconda stagione della serie di culto. Sempre a causa dei produttori che hanno finanziato una sua opera il cineasta fu obbligato anche a rilasciare dieci indizi che aiutassero gli spettatori a comprendere meglio la trama di Mulholland Drive. Quindi, il voler interpretare e svelare i meccanismi e le dinamiche che animano la mente creativa di Lynch non è certamente una novità e il film di Alexandre O. Philippe si inserisce proprio in questo filone di analisi.

Lynch / Oz è un documentario che prende le sembianze del video saggio: il regista sostiene che il film del 1939 di Victor Fleming sia stato talmente tanto assimilato da Lynch da fare ormai parte del suo inconscio cinematografico. Diviso in sei capitoli affidati ognuno a critici cinematografici o registi, tra cui anche John Waters e David Lowery, il lungometraggio tenta di analizzare le opere del regista americano cercando parallelismi estetici e narrativi con Il mago di Oz. Per farlo, il regista si serve dei voice over degli ospiti che commentano sequenze estrapolate dai film man mano commentati. Si parte affermando che l’opera di Fleming è un film che fa parte dell’immaginario collettivo della generazione a cui appartiene anche Lynch, data la sua incessante trasmissione sulla tv americana, ipotizzando, quindi, che il cineasta l’abbia assimilato sin da bambino. Arrivando, poi, ad analizzare specifici aspetti che la poetica di Lynch ha in comune con quella del film di Fleming. Ad esempio, alcuni opere di Lynch come Velluto blu o Mulholland Drive nascondono dietro la loro scintillante estetica una realtà ben più oscura, come a significare che dietro la routine della borghesia americana giace un osceno orrore. Così come nel film di Fleming, dove, nonostante i colori accesi che dipingono il mondo di Oz, si consumano diversi eventi violenti, come le due uccisioni provocate dalla protagonista Dorothy o, meta-narrativamente, le vicende che caratterizzano la tormentata biografia di Judy Garland o l’ipotetico suicidio avvenuto sul set del film. In un altro capitolo vengono mostrati i punti di contatto tra Cuore selvaggio e il film del 1939: il personaggio interpretato da Laura Dern indossa delle scarpette rosse che ricordano quelle di Dorothy, ma non solo. L’immaginario del mondo di Oz è esplicitamente citato all’interno della narrazione, a tal punto che nella pellicola appaiono alcuni personaggi come la malvagia strega dell’Ovest oppure la fata Glinda, interpretata dalla stessa attrice che impersona Laura Palmer. In un altro capitolo viene analizzato il tema del doppio, rintracciando parallelismi tra i doppelganger di narrazioni come Twin Peaks e Mulholland Drive e quelli presenti  durante e dopo il sogno di Dorothy. In un’altra sezione, invece, viene analizzata la figura di Judy, personaggio che nella terza stagione di Twin Peaks rappresenta il male assoluto, cercando eventuali punti di contatto con il personaggio interpretato da Judy Garland. In un altro segmento, infine, il commentatore si concentra sulla fascinazione di Lynch per i suoni del vento rintracciabile in pellicole come Eraserhead e riconducibile, ipoteticamente, alla sequenza della tempesta in Kansas del Mago di Oz.

In conclusione, il film di Alexandre O. Philippe è una miniera d’oro per tutti gli appassionati dell’immaginario lynchiano. I sei capitoli che lo compongono sono capaci di fornire interessanti e inedite letture di alcuni dei topos più celebri del suo cinema, saltando con agilità da una pellicola all’altra grazie alle numerose sequenze commentate dalle diverse voci fuori campo. A causa della sua durata e dalla rapidità con la quale vengono snocciolate alcune questioni forse la visione è sconsigliata a chi non ha familiarità con il corpus di opere di Lynch. Tutti gli altri, invece, troveranno illuminanti alcune riflessioni offerte per cercare di decodificare la poetica del regista. È interessante la scelta di aver attinto non solo ai film, ma anche ad interviste e materiali di repertorio che includono addirittura clip delle sue surreali previsioni del tempo in onda giornalmente sulla rete. Peccato per le sequenze che aprono e chiudono la pellicola, totalmente superflue e realizzate con una computer grafica scadente: sarebbe stato più azzeccato iniziare subito con i sei video essay.