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Dibattito alla Sapienza su identità tra cibo e cultura

Nel tardo pomeriggio di oggi, intorno le 17.00 del 23 marzo 2022, Roma, presso l’Aula A Chabod dell’Edificio della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza, si è svolta la conferenza dal titolo “Cibo, cultura e Identità”, curata dal docente Massimo Montanari di Storia medievale e di Storia dell’alimentazione presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna.

La conferenza aveva l’obiettivo di narrare il concetto dell’identità individuale, nazionale e globale tra la tematica del cibo e della cultura.

L’incontro si è aperto attraverso il motto dell’autore L. Feuerbach “L’uomo è ciò che mangia”, una citazione che racchiude una verità al tal punto da costituire un percorso su cui molti uomini si sono confrontati per millenni unificati nel principio di incorporazione.

Tutto il cibo che viene ingerito dentro il nostro corpo, oltre a favorire la nostra esistenza e la nostra crescita, è fisicamente vero, nutrizionalmente ovvio, al tal punto da essere considerato una tematica “banale”. Gli alimenti permettono al nostro oggi di non essere più uguale a ieri e al nostro domani di non essere più uguale ad oggi.

Gli uomini nel corso della storia hanno sempre pensato al cibo come un qualcosa che li identificasse sia dal punto di vista fisico sia dal punto di vista culturale.

Ciò è testimoniato dalla presenza di molti stereotipi alimentari, usati come strumenti di autorappresentazione o di rappresentazione degli altri, di cui è palese esempio la lingua italiana: “i mangia polenta” gli italiani del nord visti dal sud.

Il cibo racchiude l’individualità e la coralità dell’azione del mangiare che rappresenta l’identificazione culturale di un dato spazio.

Già nel mondo antico il gruppo veniva identificato attraverso il cibo, come i greci soprattutto nell’Odissea venivano chiamati “artophagoi”, ovvero mangiatori di pane, per sottolineare dei valori dispregiativi per distinguersi dai barbari, grandi consumatori di latte, carne e birra.

Gli Europei in età moderna si definivano civili per le piantagioni di grano rispetto agli indigeni d’America considerati selvaggi poiché conoscevano solo il mais.

L’azione dell’ingerire un alimento è molto importante e complessa perché non ingeriamo solo il cibo e le sue proprietà, ma insieme al cibo vengono ingeriti valori simbolici e immateriali come il costume, la cultura, il valore della civiltà nonché l’identità.

L’Identità può essere individuale se si riferisce alla famiglia, al paese, alla regione, ma se quest’ultima si dovesse trasferire dalla nutrizione al valore simbolico o culturale allora diventerebbe collettivo: definisce un’appartenenza ad un gruppo.

Nelle società moderne nasce l’identità della cucina di territorio ovvero simbolo di rappresentazione di un luogo, ma prima del 700’ le culture premoderne privilegiano la distinzione sociale rispetto a quella geografica, poiché non esisteva il valore egualitario dell’essere umano.

Mangiare significava distinguere la qualità della persona.

Oggi, però la cucina territoriale, grazie al mercato globale è accessibile a tutti, mentre fino a poco prima risultava come simbolo di distinzione sociale.

L’Identità è il prodotto della storia che si modifica continuamente e si muove attraverso il cambiamento della storia e dagli incontri che si fanno.

L’identità non significa “il nostro passato” ma è il “presente”.

Per concludere, dentro il nostro cibo “noi” uomini abbiamo inserito tutti quei valori sociali, politici, religiosi, economici, e i valori che sono frutto della nostra cultura che cambia attraverso il tempo e lo spazio: noi mangiamo la nostra cultura.