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Per te-Un film di Alessandro Aronadio

Non penso sia un caso o, per lo meno, mi piace non pensarlo che, nell’arco di circa un mese, il brano “Per Te” del cantante Ernia (nome d’arte di Matteo Professione) coincida con l’uscita del nuovo film di Alessandro Aronadio.

Due opere che non hanno legami diretti, ma che sembrano parlarsi da lontano. Per quanto la canzone sarebbe stata perfetta, non è la colonna sonora del film che vede protagonista un sensazionale Edoardo Leo, nei panni di un uomo colpito da una rarissima forma di Alzheimer precoce. Nel ritornello del brano, Ernia canta: “E in fondo lo sai, se mi cercherai, ti starò di fianco”. Una frase che, in qualche modo, racchiude l’essenza del film e il legame tra Paolo, il personaggio interpretato dall’attore romano, e la sua famiglia: sua moglie Michela (Teresa Saponangelo) e suo figlio Mattia (Javier Francesco Leoni). L’Alzheimer è una malattia subdola: spesso colpisce più chi sta accanto che chi ne è affetto. Cancella tutto: i ricordi, le emozioni, le abitudini di una vita; ma non riesce mai a cancellare del tutto l’amore.

La forza di un figlio, di un ragazzo di appena undici anni, diventa così la luce che tiene insieme ciò che resta. Ci sono momenti di smarrimento e dolore, la consapevolezza che nulla tornerà come prima, ma anche un coraggio puro, quello che solo chi ama davvero sa trovare. Alessandro Aronadio racconta questa storia vera con una delicatezza rara. “Per te” è infatti ispirato alla vicenda reale di Mattia Piccoli, insignito nel 2021 del titolo di Alfiere della Repubblica dal Presidente Sergio Mattarella “per l’amore e la cura con cui segue quotidianamente la malattia del padre e lo aiuta a contrastarla. Il suo impegno è quanto mai prezioso: non è frequente che un giovanissimo svolga, con tanta dedizione, il compito di caregiver”. Il film si ispira al libro “Un tempo piccolo” di Serenella Antoniazzi (Gemma Edizioni-Megamiti, 2021), da cui prende anche il titolo.

Aronadio affronta un tema complesso, quello delle malattie degenerative, con misura e sensibilità, riuscendo a non cadere mai nel pietismo. La storia è filtrata dallo sguardo di un bambino, anche se è Edoardo Leo a guidarci attraverso le tappe del suo lento smarrimento.

Il regista sceglie di non nascondere nulla, ma di accompagnarci passo dopo passo nella consapevolezza del piccolo Mattia, che deve arrivare da solo a capire la verità sulla malattia del padre. Paolo è un uomo che cerca di trattenere i ricordi prima che svaniscano: il giorno del suo matrimonio con Michela, quando miracolosamente nevicava, resta impresso nella sua mente come un ultimo frammento di felicità. Vuole lasciare qualcosa a suo figlio prima che sia troppo tardi, forse prima di dimenticare persino chi è, e così prova a insegnargli a farsi la barba, a guidare e a cucinare, tutto con risultati discutibili, e lo porta a conoscere lo zio Nicola (Giorgio Montanini), che vive ancora nella casa di famiglia al mare. Nonostante la memoria lo tradisca, Paolo non dimentica mai l’immagine di sua madre, morta prematuramente, né i momenti in cui, da bambino, cucinava la pasta con lei. E spera che suo figlio, un giorno, faccia lo stesso: che non lo dimentichi. Il loro tentativo di cucinare insieme, una pasta che non verrà mai mangiata, diventa simbolo di un amore che resiste anche quando tutto il resto svanisce.

E nel frattempo, Paolo cerca in ogni modo di far innamorare ancora sua moglie, organizzando serate divertenti, ma la malattia torna sempre a ricordargli la sua presenza, fino a prendere il sopravvento. Il finale, senza troppi spoiler, è un colpo al cuore. Chi ha vissuto esperienze simili non potrà che sentirsi profondamente coinvolto. La storia di Mattia Piccoli è un inno alla forza, alla dedizione e al coraggio silenzioso di chi sceglie di restare accanto a chi ama, anche quando la memoria se ne va.
E per quanto piccolo sia il ruolo dello zio Nicola, freddo e distaccato possa inizialmente sembrare, in realtà riesce a descrivere il personaggio di Paolo con la frase: Ho sempre pensato fosse l’amore a far girare il mondo, ma alla fine l’ho capito cosa lo fa girare davvero: la paura di rimanere soli. In fondo, “Per te” è proprio questo: la paura di restare soli che si trasforma nella forza di restare insieme, anche quando la memoria svanisce ma l’amore no.

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