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Il tracciamento digitale senza consenso: una piaga nell’era di Internet

smartphone spiato da terza persona

fonte: navigaweb.net

Che cos’è il tracciamento digitale? Domandarselo è lecito vista l’epoca social in cui viviamo. Una ricerca su Google, una registrazione ad un sito o app, ma anche un semplice “mi piace” ad un post Instagram, avvia una vera e propria attività di web tracking che registra tutte le nostre azioni online, convergendole in informazioni. Queste verranno utilizzate per molteplici scopi, primo fra tutti quello di fornire un’esperienza digitale personalizzata per ogni singolo utente della rete, tramite il suggerimento di video, prodotti o inserzioni pubblicitarie inerenti alla nostra navigazione, sia che riguardino l’intera Rete, in via generale, o i nostri profili social più nel particolare. Tale attività di monitoraggio è impiegata da aziende o imprese che gestiscono siti e applicazioni, e che desiderano raccogliere dati sui loro utenti per gli intenti appena descritti.

 

Chi naviga in Internet è tracciato per ogni spostamento che attua. Questa attività nella maggior parte dei casi avviene perché siamo proprio noi a permetterla: i famosi “cookie” che si presentano ad ogni sito in cui accediamo e l’invito ad accettarli servono proprio a questo. Tralasciando che la maggior parte degli utenti ignora questo fatto,  oggi più che mai non si dovrebbe ignorare quando si parla di tracciamento digitale e  monitoraggi senza la nostra autorizzazione. In questi casi – il confine con l’attività lecita di web tracking viene superata, sfociando in quelli che sono veri e propri atti di spionaggio.

Questo “tracciamento non consenziente” non solo oggi è possibile, ma è esageratamente diffuso nel mondo digitale, e avviene tramite l’installazione di app-spia utilizzate sia in ambienti amatoriali, intimi e personali, sia in circostante più grandi e autoritarie.

È il caso del recente episodio dell’azienda israeliana Paragon che ha interrotto la collaborazione con le autorità italiane dopo che Meta ha smascherato l’utilizzo del suo spyware – chiamato Graphite e adoperato “normalmente” per sorvegliare criminali e terroristi – ai danni di alcuni giornalisti e magistrati. Paragon lavora con molte istituzioni, in Italia in particolare con due enti legati alle forze dell’ordine e al settore dell’intelligence ed è la prima volta che viene coinvolta in uno scandalo su possibili abusi della sua tecnologia. Al momento, il nostro governo continua a negare qualsiasi possibile violazione del software.

L’utilizzo di spie nel privato riguardano invece alcune ricerche attuali: l’anno scorso la società Irpi Media ha riportato come che nel nostro paese, tra il 2018 e il 2023, una sessantina di uomini abbiano scaricato nei telefoni delle loro partner o ex fidanzate Spyhide, un software progettato per osservare le attività di uno smartphone senza che il proprietario se ne accorga, attraverso l’utilizzo di messaggi WhatsApp, email, chiamate, foto, numeri in rubrica etc. Una ricerca simile è stata avviata anche da Kaspersky, società leader di cybersecurity, che ha rinvenuto come oggi siano facilmente scaricabili dai principali store degli smartphone applicazioni mascherate come antivirus ma che in realtà controllano le attività telematiche di figli o partner.

Insomma, al giorno d’oggi appare sempre più evidente come sia necessario installare strumenti di sicurezza per difendersi da  malintenzionati che, nel caotico mondo digitale di oggi, spaziano da hacker estranei, a persone appartenenti alla nostra sfera più intima, ad aziende concorrenti nelle proprie attività lavorative o, nei casi più estremi, dagli stessi enti governativi; o almeno è su questo che verte il più recente dibattito sulle applicazioni spia. Il tracciamento digitale non consentito oggi è più frequente di quello che si possa pensare ed è per questo che dobbiamo e possiamo tutelarci per proteggere la nostra privacy.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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