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Storie di ricerca e resilienza

convegno nella facoltà di farmacologia

Questa mattina 19 giugno, nell’Aula B del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia, si è tenuto l’evento “Women in science of dementia biomarkers: successful stories”, un incontro ricco di testimonianze profonde e ispiranti che ha visto protagoniste tre scienziate internazionali, accomunate da un percorso di eccellenza nella ricerca medica e da una tenace determinazione nel superare barriere personali e sociali.

La prima a intervenire è stata la professoressa Bahar Guntekin dell’Università Medipol di Istanbul. Con grande sincerità, ha raccontato la sua strada verso la carriera accademica, non priva di ostacoli: lavorava in ospedale mentre conseguiva il dottorato, conciliando studio e lavoro con enorme impegno. Le sue ricerche si sono concentrate sulle differenze di genere nell’elaborazione delle espressioni facciali emotive nei pazienti affetti da Alzheimer. Dopo essersi trasferita a Istanbul, ha affrontato la maternità in piena attività lavorativa, un ritorno al lavoro difficile ma anche un momento cruciale di crescita. Nonostante le sfide personali, tra cui un divorzio e una relazione difficile, ha continuato a eccellere nella ricerca, ottenendo riconoscimenti importanti come il “Roy Johnson Award 2023”. Convinta sostenitrice del networking e delle relazioni di supporto tra colleghe, Guntekin ha dichiarato di voler essere un punto di riferimento per le giovani ricercatrici che, come lei, affrontano ambienti complessi e poco liberi.

Ha preso poi la parola la professoressa Görsev Yener dell’Università di Izmir, la cui passione per la scienza è nata sin da bambina, grazie alla madre insegnante. Durante il liceo si innamora della chimica, ma sceglie medicina, per poi avvicinarsi alla neurologia, sebbene inizialmente scoraggiata da un professore. La sua tenacia la porta però fino alla UCLA, dove completa la specializzazione in neurologia e inizia a studiare a fondo l’Alzheimer, fino a diventare una delle fondatrici della Turkish Alzheimer’s Association. La sua carriera, alimentata da un forte spirito di ricerca, l’ha vista ottenere risultati notevoli, incluso un dottorato in biofisica.

A concludere l’evento, la professoressa Laura Bonanni dell’Università G. d’Annunzio di Pescara. Orgogliosa della presenza femminile nel suo ospedale, ha criticato le domande stereotipate rivolte spesso alle donne in medicina e ha denunciato la scarsità di professoresse nel settore (solo il 20%). Bonanni ha affrontato i bias di genere più radicati — dalla valutazione delle performance alla maternità — raccontando come per anni abbia evitato lo scontro, “tenendo la testa sotto la sabbia”. Poi la svolta: decide di formarsi negli Stati Uniti, prima in California e poi a Yale. Tornata in Italia, partecipa a un’iniziativa per giovani ricercatori promossa da Rita Levi Montalcini e vince il primo premio. La sua ricerca sull’Alzheimer prosegue con successo, culminando nella pubblicazione di un importante studio.

Le tre storie, diverse e complementari, testimoniano come la passione scientifica, unita alla resilienza, possa rompere schemi e costruire futuro. Un messaggio chiaro emerge da questo incontro: le donne nella scienza sono già protagoniste, ora devono essere anche riconosciute come tali.

Matilde Trippanera

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