Anche quest’anno la manifestazione cinematografica di Alice nella Città, giunta alla sua ventitreesima edizione, ha offerto uno sguardo variegato sul cinema dedicato ai giovani e ai nuovi linguaggi. Tra le opere presentate, Squali di Daniele Barbiero, il quale ha offerto un racconto incentrato sul tema dell’ansia generazionale: un’ansia silenziosa, costante, urgente, imposta dal ritmo accelerato del presente. La stessa ansia che porta Max, protagonista del film ed interpretato da Lorenzo Zurzolo, a chiedersi se sia possibile alla propria età, aver già definito il proprio percorso, i propri confini identitari, le proprie ambizioni.
Attraverso i personaggi del film, Barbiero ripercorre le varie forme con cui questa ansia si manifesta: dall’incertezza paralizzante, al senso di inadeguatezza rispetto ai nostri simili, alla frustrazione di non essere mai abbastanza, frutto di una società post-digitale che premia risultati immediati mettendo a dura prova sé stessi.
Se non ascoltate, queste fragilità possono trasformarsi in un auto-inganno, difatti dietro la maschera impeccabile di Robert Price, interpretato da James Franco, si cela la stessa fragilità ed incertezza che parla di una condizione esistenziale appartenente a molti. La stessa condizione che ti elimina davanti al primo passo sbagliato, inducendoti a pensare che non c’è spazio per il fallimento. L’adolescente contemporaneo, come raccontato in Squali, vive questo stato d’ansia come una condanna, ma anche come un’eredità inevitabile di un tempo in cui tutto deve correre, senza sosta, come raccontato dallo stesso padre di Max. In questo senso, Squali non è solo un ritratto di giovani alle prese con la loro crescita, ma anche una riflessione sul peso che la società moderna riversa sulle spalle delle nuove generazioni.
Nonostante il ventaglio di sfumature che il tema permette di indagare, esso è stato rappresentato in maniera piuttosto riduttiva all’interno del film, forse perché mancante di una forte struttura narrativa e di una storia che costituisca la base da cui partire. Alcuni passaggi risultano poco chiari o non pienamente approfonditi: in particolare, la rappresentazione del suicidio di Filippo, il migliore amico di Max, che appare poco delineata e non sufficientemente contestualizzatail, forse il tema avrebbe meritato una maggiore coerenza e cura nei dettagli.
Nonostante ciò, il film resta un buon prodotto, penalizzato solo in parte dall’inesperienza del regista, comprensibile trattandosi di un’opera prima. Il film si presenta come un’opera complessivamente interessante, elevata dalla presenza di James Franco, il cui ruolo professionale contribuisce a innalzare il livello dell’intera produzione. Accanto a lui spiccano le interpretazioni di Lorenzo Zurzolo, Francesco Centorame, Ginevra Francesconi e Francesco Gheghi che confermano come il cinema italiano possa contare su una nuova generazione di attori talentuosi e promettenti. In conclusione, si può considerare un riuscito racconto di formazione che, oltre a narrare una storia personale, solleva interrogativi profondi sulla tecnologia e sulla sua natura: essa possiede un’etica o resta un semplice strumento privo di sentimenti al servizio della crescita del capitale?
