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Officine Eudossiana: un laboratorio di dubbi necessari

Officine Eudossiana: un laboratorio di dubbi necessari

Cosa significa davvero “transizione”? È sufficiente cambiare tecnologie per parlare di futuro sostenibile? Oppure serve ripensare il modo stesso in cui produciamo, consumiamo e, soprattutto, immaginiamo il progresso?

Sono alcune delle domande che hanno attraversato la seconda edizione di Officine Eudossiana – Faglie, frontiere, varchi, orizzonti, la conversazione interdisciplinare sulle ingegnerie in transizione organizzata dalla professoressa Annunziata D’Orazio e tenutasi l’8 aprile 2025 nella Sala del Chiostro della Facoltà di Ingegneria Civile e Industriale della Sapienza Università di Roma.

Non si è trattato di un convegno tecnico nel senso tradizionale del termine. O, almeno, non solo. Tra chi ha parlato di rotte climaticamente ottimali, metalli critici, rifiuti in orbita e nanoparticelle ingerite senza accorgercene, si è fatta largo una sensazione: quella di trovarsi in un luogo dove le domande contano più delle risposte.

A inaugurare la mattinata è stato il professor Fabrizio Piergentili, che ha raccontato il caos crescente dello spazio circumterrestre. Tra satelliti dismessi, collisioni e sindromi a cascata, ciò che emerge è un rischio concreto: quello di non poter più attraversare il “guscio” di detriti che abbiamo lasciato in orbita. Se lo spazio è oggi affollato e scarsamente regolato, quanto siamo davvero preparati ad affrontarne le conseguenze?

La professoressa Olimpia Vincentini ha spostato lo sguardo dalla macro alla micro scala, parlando di nanomateriali e dei loro effetti, ancora in gran parte ignoti, sulla salute umana. In un settore, quello alimentare, sempre più attraversato dall’innovazione, non è secondario chiedersi dove finiscono le particelle che ingeriamo e cosa succede al nostro organismo nel momento in cui le assorbe. La ricerca c’è, ma corre dietro a un’industria molto più veloce.

Uno degli interventi più densi è stato quello del professor Franco Donatini, che ha fatto i conti con la transizione energetica. Costi altissimi, tecnologie non del tutto mature, dipendenza da materiali rari e uno squilibrio geopolitico che vede l’Europa arrancare: la decarbonizzazione, ha ricordato, non è solo una questione ambientale, ma economica e industriale, e senza un grande sforzo collettivo, rischia di restare una promessa.

La professoressa Francesca Pagnanelli ha messo in evidenza un’altra grande fragilità del sistema: la scarsità e scarsa riciclabilità dei metalli necessari per la transizione. Rame, litio, cobalto, nichel sono elementi fondamentali per batterie, impianti fotovoltaici e auto elettriche, ma difficili da reperire e quasi impossibili da sostituire. Se continuiamo a usarli come fossero infiniti, rischiamo di lasciare alle generazioni future non soluzioni, ma problemi.

A complicare ulteriormente lo scenario c’è il settore del trasporto aereo, che, come ha ricordato il professor Riccardo Malpica Galassi, continua a crescere in termini di emissioni, nonostante i miglioramenti tecnologici, perché si vola sempre di più. Le soluzioni alternative esistono ma sono ancora costose, complesse e lontane dall’essere applicabili su larga scala.

Il professor Domenico Borello ha riportato il discorso a terra, con esempi concreti di rigenerazione urbana ed energetica. Esperienze internazionali, ma anche progetti in corso che mostrano quanto la sostenibilità, se non è accompagnata da una visione di lungo periodo e da un sistema di governance condiviso, rischi di ridursi a una somma di buone intenzioni.

A chiudere, le riflessioni della professoressa D’Orazio hanno riportato tutti al punto di partenza: la sostenibilità non può essere una parola vuota, né una bandiera da sventolare. È un processo complesso, fatto di contraddizioni, scelte difficili e responsabilità distribuite. Il vero valore dell’incontro, più che nelle soluzioni, è stato nella capacità di porre le domande giuste e di ammettere che, forse, la cosa più urgente da fare oggi è proprio imparare a pensare mentre innoviamo.

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