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I nuovi media come teatro di morte: perché scegliere di uccidersi in diretta?

Cedartown (Georgia), 30 Dicembre 2016: la dodicenne Katelyn Nicole Davis si impicca nel giardino della sua abitazione. La notizia fa clamore per la giovane età della vittima, ma a farla rimbalzare sulle principali testate americane e sul web è il fatto che il suicidio sia stato trasmesso proprio sulla rete. La ragazzina infatti si sarebbe servita, per riprendere il tutto, di Live.me, applicazione molto simile nell’utilizzo e nelle finalità a Facebook live. Parliamo di un video della durata di 42 minuti, nel quale Katelyn rivela di essere stata vittima di abusi da parte di un membro della sua famiglia e dichiara poi le sue intenzioni, continuando con la ripresa. Inutile dire che, una volta approdato sui vari social network, esso sia diventato immediatamente virale. A quel punto la polizia locale ha dichiarato di non disporre degli strumenti legali necessari a far sì che le piattaforme rimuovessero il video; questo ovviamente ha portato a un generale sentimento di indignazione. Soltanto dopo alcuni giorni le società contattate hanno proceduto con la rimozione, ma il video era stato a quel punto già visto da circa 40.000 utenti.

Los Angeles (California), 23 Gennaio 2017: l’attore Jay Bowdy annuncia di volersi suicidare in diretta Facebook e si spara poi un colpo di fucile nella sua auto. Il trentatreenne, noto negli Stati Uniti soprattutto per aver preso parte ad alcune serie tv, era stato arrestato il precedente 19 Gennaio con l’accusa di violenza sessuale, salvo poi essere rilasciato su cauzione. L’uomo, sposato e con sei figli, ha continuato a dichiararsi innocente, ma non ha sopportato quest’accusa infamante arrivando quindi all’estremo gesto. In questo caso le forze di polizia sono riuscite a far rimuovere il video quasi nell’immediato.

Abbiamo citato “soltanto” due episodi, ma ce ne sono molti altri meritevoli della stessa attenzione. Non è raro infatti che siano gli stessi social network e le stesse applicazioni che siamo soliti usare tutti a divenire motivo di morte o mezzo per annunciarla. Facciamo, dunque, riferimento a quei casi in cui persone che si sono poi suicidate, hanno prima deciso di lasciare un ultimo messaggio in rete, ma anche a quei casi in cui a spingere al suicidio è stata proprio la pubblicazione su Internet di materiale privato. Come non ricordare a tal proposito la morte di Tiziana Cantone, giovane ragazza campana che si è impiccata dopo che alcuni suoi video pornografici erano stati diffusi su differenti piattaforme, e che non ha quindi retto alla serie di giudizi che ne sono seguiti.

Tutto ciò ci porta a riflettere; riflettiamo su ciò che davvero i nuovi media sono in grado di fare, riflettiamo sul perché c’è ancora qualcuno che non presta abbastanza attenzione alla tutela della propria privacy, in un contesto in cui facilmente la propria intimità può essere messa alla mercé di tutti (e ne abbiamo ripetutamente avuto dimostrazione). Riflettiamo ancora sul perché le persone sentano la necessità di mostrare platealmente il loro dolore, fino appunto ad uccidersi davanti a migliaia di utenti. Che sia ancora una volta voglia di apparire, in una società in cui visibilità e reputazione sembrano essere tutto? A questo decidiamo di non credere, ma avere oggi una risposta a tutto ciò sembra ancora impossibile.

Marika Catalani

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