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Il metodo Paloscia tra giornalismo di ieri e di oggi.

Immagina di chiedere a un giornalista: in che modo verifica le fonti prima di scrivere un articolo e lanciare una notizia? Qualche tempo fa, con molta probabilità, l’ipotetico giornalista ti avrebbe risposto: «Se l’ha detto l’ANSA, allora è vero». Ma qual è la ragione dietro questa affermazione? Perché in passato è diventata una convinzione così radicata? E, soprattutto, è ancora valida oggi? Per comprenderlo è necessario fare un passo indietro nella storia del nostro Paese.

 

Siamo negli anni ’70, un periodo segnato da forti tensioni sociali: da una parte i cortei della sinistra e dell’estrema sinistra, dall’altra le frange della destra radicale, meno numerose ma comunque presenti, soprattutto ai vertici istituzionali. La radicalizzazione politica attraversava anche l’università, tra collettivi che bloccavano gli ingressi e manifestazioni che spesso degeneravano in violenze armate. Sono gli anni delle proteste per la legge sul divorzio, del caso di Giorgiana Masi, dell’omicidio di Walter Rossi e della contestazione a Indro Montanelli. In questo contesto, il Presidente del Consiglio dell’epoca, Francesco Cossiga, decide di vietare ogni tipo di manifestazione pubblica — ma non basta. Gli anni ’70 restano gli anni della contestazione studentesca, delle lotte sindacali, degli scioperi, del terrorismo e delle esecuzioni delle Brigate Rosse: uno scenario estremamente complesso che i giornalisti di allora si trovarono a raccontare.

Paloscia, il suo metodo e il “quarto potere”

Tra i giornalisti dell’epoca emerge Annibale Paloscia, storico caporedattore e capocronista dell’ANSA, il primo a dare notizia del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro. A lui si deve quello che è stato definito “il metodo Paloscia”: un insieme di principi deontologici fondati su un rigoroso rispetto delle fonti — definito dalla figlia Francesca Paloscia quasi “puritano” —, sulla correttezza delle notizie e sulla tutela della verità dei fatti. Un esempio emblematico: durante il sequestro del giudice Giovanni D’Urso, rapito dalle Brigate Rosse nel dicembre del 1980, fu proprio l’ANSA a smentire un falso comunicato che ne annunciava la liberazione e il ricovero all’ospedale Gemelli. Un gesto di rigore che ancora oggi dimostra quanto sia essenziale la prudenza da parte di chi ha il compito di informare il pubblico e contribuire alla formazione dell’opinione pubblica. Grazie al metodo di Annibale Paloscia, che poteva contare su una stabile rete di contatti, telefonate rapide al momento giusto e larga presenza sul territorio, si riteneva che una notizia pubblicata dall’ANSA fosse vera con un grado di certezza quasi assoluto.

Non a caso si parla di giornalismo come quarto potere: un potere che implica la responsabilità di raccontare i fatti senza manipolarli, di garantire la libertà di pensiero e di costituire un presidio democratico.  Il “terzo potere”, quello della legge, invece, lo conosce bene Carlo De Stefano, ex funzionario della Polizia di Stato, che proprio in quegli anni difficili conobbe Annibale Paloscia nella sala stampa della Questura di Roma. Tra i due nacque un rapporto di stima e collaborazione: insieme, seppero integrare due professioni diverse ma complementari, animate dalla stessa esigenza di verità e giustizia.

Oltre l’esercizio della professione giornalistica

Il messaggio non è rivolto solo a chi sogna di diventare giornalista, ma a ogni cittadino: per difendere la democrazia, è fondamentale vigilare sull’informazione. In questo contesto è centrale la riflessione sulla trasformazione digitale a cui stiamo assistendo e che riguarda direttamente anche il giornalismo: un tempo, per comunicare le notizie alla redazione,  si telefonava dalle cabine telefoniche pubbliche o dai bar. Oggi, invece, si fa largamente uso delle tecnologie avanzate, comprese l’intelligenza artificiale. Le redazioni sono più piccole, la mole di informazioni è enorme e spesso il giornalista si limita a selezionare cosa pubblicare, più che cercare nuove notizie. Eppure, il fulcro del mestiere resta lo stesso: una solida preparazione culturale di base, la verifica dei fatti attraverso canali ufficiali oltre a un controllo il più attivo possibile parte dell’opinione pubblica, anziché una fruizione totalmente passiva.

Questo approfondimento nasce dalla lezione speciale “Informazione e libertà di pensiero”, tenutasi ieri 8 Maggio 2025, promossa dalla Professoressa Elena Papadia e dal Professore Christian Ruggiero. L’incontro ha visto protagonisti: Francesca Paloscia, giornalista e figlia dello storico caporedattore ANSA Annibale Paloscia, promotrice di un’etica giornalistica rigorosa; Carlo De Stefano, ex funzionario della Polizia di Stato, testimone diretto delle tensioni sociali e politiche degli anni ’70; Giancarlo Tartaglia, segretario generale della Fondazione sul giornalismo italiano Paolo Murialdi, che ha offerto una preziosa riflessione sull’evoluzione della professione giornalistica, tra passato e nuove sfide tecnologiche.

Per approfondire l’attività di Annibale Paloscia e il suo metodo, è disponibile il volume Informazione e libertà di pensiero. Appunti di un giornalista

Articolo a cura di Martina Colantoni. 

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