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L’arte di arrangiarsi: viaggio nell’Archivio dell’Orchestra Nazionale della Rai

“Ti sei mai chiesto che fine fa la musica quando smette di suonare”? Non sparisce nel nulla. A volte, viene messa in archivio, dove viene riscritta, conservata, dimenticata o, con un po’ di fortuna ritrovata. E’ il caso dell’Archivio dell’Orchestra Nazionale Rai, uno scrigno di storie, politica e sperimentazioni sonore, che conserva le partiture, gli arrangiamenti e le registrazioni  trasmesse in radio o in televisione in Italia nel corso del Novecento.

L’Orchestra Nazionale e l’Archivio Rai

L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai è nata nel 1994 a Torino dalla fusione delle precedenti quattro orchestre Rai di Roma, Milano, Napoli e Torino, dove è rimasta la sede ufficiale dell’Orchestra presso l’Auditorium Rai “Arturo Toscanini” di piazza Rossaro. I primi concerti furono diretti da Georges Pretre e Giuseppe Sinopoli. Al momento invece, la direzione è stata affidata a Fabio Luisi, Direttore emerito, e a Robert Trevino, Direttore ospite principale.

L’Archivio Musicale dell’Orchestra Nazionale RAI, ospitato anch’esso all’interno dell’Auditorium RAI di Torino, rappresenta a tutti gli effetti una fonte storica e culturale di straordinario valore, da tutelare e valorizzare. Custodisce decenni di memoria musicale italiana, attraversando generi e contesti diversi: dal jazz alla sinfonia, dalla propaganda radiofonica alla televisione educativa. La sezione più preziosa è quella dedicata ai manoscritti e ai materiali rari, che raccoglie 152 documenti tra lettere, partiture, incisioni e perfino dagherrotipi. Un vero e proprio corpus di fonti storiche e filologiche, capace di restituire non solo la storia musicale del Paese, ma anche i suoi risvolti culturali e politici. Non sorprende, infatti, trovare tracce lasciate da arrangiatori tedeschi durante il Ventennio-contenute nel Fondo Soldatesender- , che testimoniano le dinamiche di controllo culturale e la volontà di germanizzazione del repertorio italiano a partire dagli anni Trenta.

L’archivio testimonia come la musica sia stata, nel secondo dopoguerra, anche uno strumento di mediazione culturale. Tra le pratiche più esemplari,  le trascrizioni ritmiche di repertori colti, come Chopin, pensate per rendere più accessibile la musica classica a un pubblico ampio, spesso non specialistico. Inoltre, negli anni ’50, l’orchestra è diventa sempre più un mezzo televisivo, protagonista di programmi educativi e di operette trasmesse in TV, con l’obiettivo di educare all’ascolto e diffondere la cultura musicale. Questa sinergia tra partiture e palinsesto segna una delle fasi più interessanti del rapporto tra musica e media di massa nell’Italia del dopoguerra.

L’analisi proposta da Andrea Malvano

Per restituire profondità e chiarezza a questo materiale, apparentemente dispersivo, si è attivato negli ultimi anni il lavoro di storici della musica e musicologi, che ne hanno riconosciuto il valore scientifico e documentario.

Ho avuto il piacere di ascoltare uno di loro, Andrea Malvano, Docente di Musicologia e Storia della musica presso l’Università di Torino, in occasione dell’incontro Il progetto di ricerca e digitalizzazione dell’archivio storico dell’Orchestra sinfonica nazionale Rai: strategie, metodologie e risultati. Nel volume L’arte di arrangiarsi, il professor Malvano ricostruisce le storie nascoste nascoste nei fondi archivistici, oggi interamente digitalizzati, analizzando con un approccio storico-critico le pratiche di arrangiamento, spesso relegate a un ruolo secondario, e mostrando come l’archivio rifletta in profondità le trasformazioni culturali dell’Italia del Novecento.
Una particolare attenzione è riservata al ruolo educativo, politico e mediatico dell’orchestra, che emerge con chiarezza in episodi emblematici: dalla collaborazione di Pippo Barzizza con i tedeschi durante la Seconda guerra mondiale, alla presenza di Ennio Morricone, che proprio in RAI cominciò a sperimentare le soluzioni sonore che lo hanno reso celebre nel cinema. Oltre al fondo Barzizza e al fondo Morricone, altri fondi particolarmente interessanti sono il Fondo Maderna, che comprende rielaborazioni di musical e operette prodotte per la televisione negli anni ’50, tra cui La vedova allegra, e il Fondo Carafa di Maddaloni,  in cui sono raccolti  manoscritti rari del repertorio napoletano.

Problemi e prospettive

Nonostante il valore storico e culturale dell’Archivio dell’Orchestra Nazionale RAI, restano anche criticità significative che ne limitano l’accessibilità e la valorizzazione. Uno dei problemi principali è l’assenza di una catalogazione pubblica e integrata: i materiali non sono consultabili liberamente e mancano strumenti digitali in grado di collegare i programmi di sala alle rispettive registrazioni audio.
Inoltre, le Teche RAI non sono di pubblico dominio, e questo non permette di ricostruire una mappa chiara e completa dell’attività concertistica e televisiva dell’orchestra nel corso degli anni.  Inoltre, dal 2018 non vengono più registrati i concerti, creando un potenziale vuoto documentale che rischia di interrompere la continuità storica di questo patrimonio. A ciò si aggiunge la sensazione generale che gli archivi RAI si configurino più come un accumulo disordinato di materiali che come una collezione organica e curata, frutto di una visione archivistica strutturata.

Eppure sono proprio questi limiti che aprono anche nuove prospettive: serve una progettualità forte, che unisca competenze musicologiche, archivistiche e digitali per rendere finalmente questo patrimonio accessibile, interpretabile e vivo.

Articolo a cura di Martina Colantoni

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