Il tema topico della haunted house – la casa infestata- personaggi che si muovono su uno sfondo in cui l’ombra e l’oscurità del soprannaturale incombono: un esperimento cinematografico mostrato attraverso gli occhi di un cane. Proprio così, il regista di Good Boy, Ben Leonberg, ha aperto la rassegna del festival cinematografico di Alice nella città, che ha fatto nuovamente ritorno nella Capitale, con un horror che lascia senza fiato.
La novità di questo film risiede nella scelta di raccontare la storia attraverso gli occhi di un cane. Le scene si concentrano spesso sugli occhi dell’animale, su ciò che sente e gli sta intorno, soprattutto su ciò che soltanto lui vede e che è invisibile agli occhi dell’essere umano. Raccontare l’orrore attraverso gli occhi di un cane significa scardinare il punto di vista umano e costringerci a osservare la paura nella sua forma più istintiva. Leonberg ci mostra come l’animale percepisca ciò che sfugge alla logica: un’eco, un’ombra, un respiro invisibile. Alla fine del film, il pubblico ha accolto il regista con un applauso durato un bel po’ di minuti, segno che l’esperimento ha in qualche modo funzionato.
Un film che può essere considerato come un degno discepolo di Laurie, racconto del maestro dell’horror, Stephen King. Essendo in pieno stile e tema Halloween, la pellicola si presta ad essere l’horror della stagione. La tensione presente in ogni scena e minuto, l’ansia e la suspence che accelera i battiti degli spettatori in sala, i quali si trovano di fronte a scene completamente vuote di dialoghi: un susseguirsi di immagini che provoca uno stato d’animo inquieto, come quello del cane protagonista nella pellicola.
L’assenza di dialoghi diventa un linguaggio. In Good Boy, il silenzio non è mancanza, ma strumento di immedesimazione. Lo spettatore, come il cane, si ritrova a decifrare suoni, vibrazioni e rumori impercettibili, riscoprendo la paura primordiale del non sapere cosa sta per accadere. La scelta di un cane come protagonista non è solo un espediente narrativo, ma una riflessione su quanto poco comprendiamo le percezioni animali — e forse, le nostre stesse paure.
Volti turbati, qualche spettatore che lascia la sala e momenti di ansia collettiva. Leonberg costruisce un horror che non punta sugli effetti speciali, ma sull’attesa. È un film che si insinua lentamente nella mente, che lascia un’eco emotiva più che un ricordo visivo. La vera tensione non è nel mostro, ma nell’attesa del suo arrivo.
Il film ruota attorno al tema della morte e della paura, di come essa viene vissuta e percepita dai cani. Una cosa è certa, anche i cani hanno paura come gli esseri umani e comprendono la morte, soprattutto quando sta per arrivare. Un film che lascia turbati, durante e dopo la visione, pieni di dubbi e domande, si lascia la sala scossi, con un sentimento che è un misto di paura e turbamento. Una pellicola semplice, senza nessuna pretesa o sforzo, ma con un grande potenziale narrativo e psicologico. Un horror che racchiude tanto di realtà: come vivono gli animali la paura e la morte?
Articolo a cura di Alessandra Marino
