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Il giornalismo degli anni di piombo

presentazione libro Paloscia

Il Dipartimento CoRiS, nel quadro della collaborazione con la Fondazione sul giornalismo italiano “Paolo Murialdi”, ha promosso due lezioni-incontro.

La seconda di queste, tenutasi giovedì 8 maggio alle ore 12:00 presso l’aula P1, è stata organizzata dalla cattedra di Storia politica sociale e culturale dell’età contemporanea e si intitola Informazione e libertà di pensiero.

In una data fortemente simbolica, dunque, l’8 maggio – vigilia del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, avvenuto il 9 maggio 1978 – si è tenuto un incontro dedicato ad Annibale Paloscia, scrittore e giornalista di spicco degli anni Settanta, capocronista dell’ANSA in uno dei periodi più drammatici della storia repubblicana.

A introdurre la figura del padre è stata Francesca Paloscia, curatrice del libro postumo che raccoglie scritti e materiali giornalistici realizzati tra gli anni ’60 e ’70. Secondo Paloscia, per essere un grande giornalista non basta il talento: serve una solida cultura di base, capace di attivare spirito critico e comprendere la portata totalizzante della professione.

Nel pieno del sequestro Moro, Paloscia coordinava i cronisti posizionandoli nei punti strategici della capitale. La figlia ha letto alcuni stralci del libro, ricordando con intensità il momento in cui fu rinvenuta la Renault rossa in via Caetani alle 13:30, con il cofano aperto e la drammatica esclamazione: “Nell’auto c’è un morto”, seguita dalla conferma: “È Moro il morto nella Renault rossa”.

L’opera giornalistica di Annibale Paloscia si distingueva anche per la capacità di tessere relazioni tanto con le forze dell’ordine quanto con i gruppi estremisti, sempre con l’obiettivo di tutelare quella che chiamava “Sua Maestà la Notizia”. Un approccio che, durante il rapimento del magistrato D’Urso nel 1980, si rivelò fondamentale per decifrare una fitta rete di informazioni e disinformazioni. Da questa esperienza nacque quello che oggi viene definito il “metodo Paloscia”: agire con prudenza e coscienza, perché il giornalismo, inteso come quarto potere, ha una responsabilità civile e democratica.

All’incontro è intervenuto anche Carlo De Stefano, funzionario della Polizia di Stato e amico storico di Paloscia. I due si conobbero nella sala stampa della questura, condividendo anni difficili in cui l’intolleranza politica e lo scontro fisico tra opposti estremismi segnavano le piazze italiane. Ogni sabato, Roma era attraversata da cortei dell’estrema sinistra e il clima sociale era teso e violento.

A concludere l’incontro, Giancarlo Tartaglia, segretario generale della Fondazione sul giornalismo italiano “Paolo Murialdi”, ha tracciato un bilancio del giornalismo dell’epoca: un mestiere fatto di passione e ricerca ostinata della verità, anche a costo di infrangere protocolli. Oggi, ha osservato, la diffusione dell’informazione è cambiata radicalmente, ma resta imprescindibile il dovere della verifica, elemento fondante persino del dovere civico. L’informazione, ha ricordato, è diversa dalla libertà di pensiero, ma entrambe sono tutelate dall’articolo 21 della Costituzione.

 

Articolo di Matilde Trippanera

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