L’estate è ormai iniziata, e chi, più della crema solare, può diventare il nostro alleato contro le giornate torride?
Texture leggere da spalmare o spruzzare, profumo fresco quasi fosse brezza marina, racchiuse in flaconi colorati da portare ovunque: in spiaggia, in piscina, in montagna e, dovremmo ricordarcelo più spesso, anche in città. Le pubblicità ce lo ricordano ogni anno: la cura della pelle non va sottovalutata, e neanche l’abbronzatura! Ma è sempre stato così? Non proprio, perché il concetto stesso di abbronzatura, infatti, è profondamente cambiato nel tempo.
L’abbronzatura in passato
Oggi quasi invidiamo chi ha una pelle dorata e lucente, ma in passato era l’esatto contrario: l’abbronzatura era segno di fatica e povertà, una caratteristica legata alle differenze di classe. Avere la pelle chiara era uno status symbol; la nobiltà e la borghesia, infatti, si proteggevano dal sole con ombrellini e ampi cappelli, mentre i lavoratori dei campi si abbronzavano inevitabilmente durante le lunghe giornate all’aria aperta.
La scoperta dei raggi UV
Sappiamo con certezza che l’esposizione prolungata al sole, e quindi ai raggi UV, può causare scottature, invecchiamento precoce della pelle e persino tumori.
I raggi UV, le radiazioni invisibili emesse dal Sole, furono identificati per la prima volta nell’Ottocento dal fisico e chimico tedesco Johann Wilhelm Ritter, che gettò le basi per lo studio degli effetti della luce solare sul corpo umano. Qualche decennio più tardi, nel 1820, lo studioso inglese Everard Home compì un esperimento semplice ma illuminante: espose entrambe le mani alla luce solare, coprendone una con un guanto nero. Il risultato? Solo la mano scoperta sviluppò un eritema, mentre quella protetta restò illesa. Da questa osservazione, Home comprese che non è il calore del sole — come si credeva allora — a causare gli effetti sulla pelle, ma la luce stessa. Un’intuizione pionieristica che apre la strada alla moderna fotoprotezione.
Forme primordiali di protezione solare
In epoche ancora più antiche, invece, in mancanza di ricerche scientifiche, esistevano comunque forme “primordiali” di protezione solare: gli antichi Egizi usavano estratti di riso, gelsomino e lupino; Greci e Romani si affidavano a oli vegetali e minerali, come quello d’oliva; in Asia si prediligevano polveri bianche per riflettere i raggi e mantenere la pelle chiara, simbolo, anche in Oriente, di raffinatezza e nobiltà.
La nascita delle creme
Le prime formulazioni di crema solare più simili a quelle in commercio oggi risalgono agli anni ’30 del Novecento. Nel 1938, il chimico svizzero Franz Greiter sviluppò uno dei primi prototipi, dopo essersi scottato durante una scalata sulle Alpi. Qualche anno dopo, nel 1944, in piena Seconda guerra mondiale, l’esercito americano distribuiva ai soldati una crema a base di benzil salicilato, utile a proteggerli dal sole nelle campagne del Pacifico. Dagli anni ‘60 in poi, con la diffusione del concetto di SPF (Sun Protection Factor), ideato proprio da Greiter nel 1962, le creme solari iniziarono ad essere prodotte e acquistate su larga scala. Iniziarono a essere di pari passo le prime pubblicità commerciali, come per esempio quella con la bambina e il cane dell’azienda Coppertone, produttrice di una delle prime creme lanciate sul mercato, ideata dall’aviatore e farmacista Benjamin Green nel 1944.
Le creme “moderne”
A partire dagli anni ‘80-’90, periodo in cui fu registrato un aumento dei casi di melanoma, crebbe la consapevolezza dei rischi del sole e le aziende iniziarono a formulare nuovi prodotti, con un maggior grado di protezione e resistenza, come le creme con filtri UVA e UVB e le creme resistenti all’acqua. Attualmente la protezione dai raggi UV è accompagnata da un’accentuata attenzione per la fotosensibilità e la sostenibilità ambientale: la maggior parte delle creme in commercio sono prodotte con filtri reef friendly e sono contenute in packaging riciclati.
Conoscevi la storia della crema solare? Da oggi sarai abbronzatssimə con più consapevolezza!
Articolo a cura di Martina Colantoni
