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Arnaldo Pomodoro, addio al padre della scultura contemporanea.

Si è spento ieri sera, all’età di quasi 99 anni, Arnaldo Pomodoro, lo scultore romagnolo che ha conquistato il mondo dell’arte con i suoi dischi, cubi e le inconfondibili sfere di bronzo.

Geometrie versatili

Non si dedicò soltanto alla scultura: declinò infatti la propria espressività anche nel teatro, nell’architettura, nel design e perfino nella moda. Il Catalogue raisonné, curato dalla Fondazione Arnaldo Pomodoro, ha suddiviso la sua opera in otto sezioni: Sculture, Disegni, Multipli, Scenografia, Gioielli, Studi progettuali, Grafiche, Arti applicate. In più di un’occasione, Pomodoro ha inaugurato autentici filoni originali di ricerca ed esperienza, aperto com’era all’intero spettro della produzione visiva, grazie a una versatilità che lo ha sempre contraddistinto. Tra le collaborazioni più significative ci fu quella con il regista Luca Ronconi in occasione delle rappresentazioni teatrali di Semiramide di Rossini o il Prometeo incatenato di Eschilo: Pomodoro realizzò le scenografie plastiche tridimensionali, che interagivano con gli attori e con lo spazio scenico, creando in ogni spettacolo una dimensione immersiva, quasi rituale.

I tratti distintivi della sua arte iniziarono a delinearsi negli anni Cinquanta, quando, trasferitosi a Milano, realizzò i primi altorilievi. Nei primi anni Sessanta esplorò invece il mondo della tridimensionalità, sviluppando un approccio alla scultura basato sulla geometria solida: nacquero così i dischi, le sfere, le piramidi, i coni, le colonne e i cubi, diventati con il tempo simboli della scultura contemporanea. Pomodoro è stato, infatti, uno dei principali protagonisti di questa stagione artistica a livello globale. Le sue opere sono state infatti accolte in tutta Europa — a Copenaghen, Darmstadt, Dublino, Parigi — e oltreoceano, a Brisbane, Los Angeles e New York. In Italia, rimane celebre la sfera commissionata nel 1966 per l’Expo di Montreal, oggi collocata di fronte al Palazzo della Farnesina a Roma. Ma Pomodoro ha lasciato il segno anche con numerose opere ambientali disseminate lungo tutta la penisola: dal Progetto per il Cimitero di Urbino (1973) al murale in cemento per il Simposio di Minoa a Marsala, dalla Sala d’Armi del Museo Poldi Pezzoli di Milano all’Ingresso nel labirinto ispirato all’epopea di Gilgamesh, fino al Carapace, la cantina-scultura di Bevagna realizzata per la famiglia Lunelli.

La scultura come metafora della condizione umana

Dietro le sue opere, dietro ogni forma geometrica, si cela una filosofia della materia che egli modellava con consapevolezza: gli spazi aperti che rivelano l’interno sembrano voler simboleggiare ferite, varchi che conducono all’anima e al disordine che la caratterizza. Attraverso superfici lisce contrapposte a interni frastagliati, Pomodoro diede vita a una metafora della condizione umana: l’ordine esteriore, quasi una facciata di apparenza, entra in contrasto con il caos interiore. Non si tratta, dunque, di un semplice effetto decorativo, ma di una scelta espressiva profonda. Quelle lacerazioni sono l’espressione dell’essere umano che cerca, indaga, penetra sotto la superficie delle cose, della storia, del tempo stesso che ci attraversa e ci consuma, ma che, nella memoria, conserva lo scrigno dei ricordi. Pomodoro definiva le sue opere come “architetture per la memoria”. Il richiamo, frequente, ai miti antichi e alla storia delle civiltà, infatti, mostra quanto la dimensione archeologica e simbolica fosse per lui una chiave creativa fondamentale. Le sue forme appaiono come rovine del futuro o macchine del passato stratificate nel tempo, capaci di evocare civiltà scomparse — che ci sembrano lontane, ma che, nei loro tratti primordiali, ci somigliano — e, allo stesso tempo, di interrogare il presente. Lui stesso in un’intervista ha spiegato di aver avuto una sorta di folgorazione ossia quella di rompere le forme geometriche, non potendo rompere la figura umana.

La fondazione

Nel 1995 Pomodoro costituì a Milano la Fondazione Arnaldo Pomodoro, per garantire uno spazio aperto allo studio e all’invenzione, dai tratti sperimentali, per conservare e e valorizzare la sua opera, ma anche per permettere di confrontarsi sui temi dell’arte contemporanea. Ad oggi la Fondazione cura e gestisce l’Archivio dell’artista, in cui è raccolta la sua vita e le opere, e la realizzazione del Catalogue Raisonné online, svolge le pratiche relative al controllo delle opere e al rilascio delle autentiche, controllando che avvenga la corretta conservazione e il restauro delle stesse, promuove e realizza la pubblicazione di libri e cataloghi, e infine, organizza mostre, incontri, visite guidate e laboratori.

La fine del viaggio

Voglio ricordare Arnaldo Pomodoro attraverso alcune parole che lui stesso pronunciò nel corso di un’intervista rilasciata nel 2011 al Corriere della Sera :”La fine del viaggio non mi spaventa come poteva capitare in passato, adesso è come una rassegnazione, determinata anche dalla stanchezza dell’età. Però ho forse un difetto, che è quello di non pensarci tanto, e vado vanti così, come dovessi vivere chissà quanti anni ancora”. Ha concentrato in pochi secondi la sua essenza: un artista- e, prima di tutto, un uomo,-che ha saputo affrontare il tempo con leggerezza, consapevole, forse senza dirlo, che sarebbe rimasto scolpito per sempre nella memoria di chi osserverà e saprà cogliere la sua arte.

Articolo a cura di Martina Colantoni

 

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