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Una sera alla Sapienza, con Stefano Cucchi e il suo pubblico commosso

“Chissà se lei la conosce, la storia di Stefano”.

Penso questo mentre guardo una delle ragazzine che affollano il pratone della Sapienza: la spalla ancora in mostra con l’abbronzatura di agosto, le labbra rosse e una birra in borsa. Si guarda attorno, timida, probabilmente è una matricola. Chissà se lei stasera è qui per Stefano, se ne conosce le vicende, i percorsi, le trappole burocratiche o se, semplicemente, ha letto il whatsapp dell’amica che l’ha mobilitata da casa: “oh, vieni in città universitaria, c’è un evento. E c’è pure Luca. o Andrea. O Giovanni”.

Non importa che cosa abbia portato i tantissimi ragazzi che ieri hanno affollato il pratone di Città universitaria, importa che cosa sia rimasto dopo e, “Sulla mia pelle”, resta addosso.

Più di un cinema, più della Mostra di Venezia: al giovane e foltissimo pubblico che ha assistito alla proiezione , non è servito un red carpet o un maxi schermo raffinato per emozionarsi.

Qualche sigaretta a smussare i respiri affannati di Stefano, interpretati da un magistrale Alessandro Borghi; un paio di pizzette mangiate qualche minuto prima di dimenticare il resto del mondo e guardare solo Ilaria Cucchi; un centinaio di sguardi che avevano paura a incrociarsi durante i titoli di coda. Perché, a guardarci negli occhi, ci saremmo vergognati tutti. Nudi e indifesi davanti alla verità. E, la verità, non giudica o assolve: si mostra nella sua potenza.

“Sulla mia pelle” ripercorre con delicata accuratezza gli ultimi giorni di Stefano Cucchi: la violenza non è mai manifesta e riesce così ad avere una forza incontenibile. La sofferenza non si insinua nell’aggressiva esposizione del dolore, ma nel progressivo decadimento di Stefano: il gonfiore della guance, il lividore del volto, il dolore che si espande lento, le vertebre e le costole che non rispondono più, l’impossibilità di muoversi. Tutto è soffocato nell’apparato burocratico cinico e omertoso, fatto di celle umide, passaggi di consegna, passaggi di responsabilità, soste prima delle udienze, cambi di guardia, visite mediche ufficiali e ufficiose.

Un processo assistito della morte di Cucchi: la situazione diventa quasi distopica, ci si arrabbia con Ilaria, si soffre come madre e come padri.

Non reggono le verità lette sui giornali, le polemiche, i contorni cuciti ad hoc: si capisce sempre meno anche la polemica tra la Luky Red e gli organizzatori dell’evento, il collettivo Sapienza Clandestina.

“L’evento è privo delle autorizzazioni del caso”, aveva asserito la casa di distribuzione cinematografica riguardo la proiezione del 14 settembre prevista in Università.

Un esponente del collettivo riprende la polemica prima della proiezione, poi legge la lista di tutte quelle vittime “dell’indifferenza dello Stato”: a inizio proiezione, però, domina un silenzio che è quasi religioso.

I teli stesi sul vasto spazio verde si accavallano l’un l’altro, come le teste degli spettatori: è una platea di ragazzi, ragazze, qualche bambino, diversi genitori. Qualcuno si accascia, qualcuno resta impietrito: nessuno è indifferente. Ci si domanda se saremmo stati capaci di fare lo stesso, se Stefano lo avessimo incrociato davvero nelle nostre vite. Perché, prima della rabbia, è la coscienza che parla: silenziosa ma imperterrita.

Il 27 settembre prossimo, l’ultima udienza del processo Cucchi bis: l’appuntamento, con i ragazzi, è alle ore 10 a piazzale Clodio ore 10 “per dare forza a Ilaria, farle sentire il nostro sostegno”.

E, chissà, che ci sia anche la ragazza dalle labbra rosse?

Se così sarà, essersi commossi insieme avrà avuto un senso.

Nicoletta Labarile