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Legge elettorale, dibattito sul “Rosatellum” alla Facoltà di Scienze Politiche

      Intervista a Paolo Maddalena
      Intervista a Stefano Ceccanti

Una tavola rotonda composta da politici e professori è stata il terreno di un dibattito che probabilmente non avrà mai fine: la legge elettorale. Ad ospitare la discussione l’Edificio di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma.

L’Italia ha una nuova legge elettorale, il cosiddetto “Rosatellum“: si tratta di un sistema misto proporzionale e maggioritario, in cui un terzo di deputati e senatori è eletto in collegi uninominali (un solo candidato per coalizione, il più votato è eletto) e i restanti due terzi sono eletti con un sistema proporzionale di lista.

Molte le perplessità esposte nella giornata, le stesse che d’altronde hanno sempre caratterizzato i sistemi precedenti: si tratta dei cosiddetti “Mattarellum” (elezioni del 1994, 1996 e 2001), “Porcellum” (elezioni del 2006, 2008 e 2013) ed Italicum (elezioni del 2015). Il primo, un maggioritario all’italiana, dove il 75% dei seggi a Camera e Senato veniva ripartito con un plurality system “addomesticato” (first past the post), il quale avrebbe dovuto garantire una semplificazione del quadro politico ed una alternanza al governo bipolare. Il secondo, introdotto con la legge 270/2005, ha segnato il passaggio da un sistema maggioritario a membro misto ad uno proporzionale con premio di maggioranza, ovvero da un sistema prevalentemente maggioritario ad uno prevalentemente proporzionale. Basti ricordare altri due precedenti che si avvicinano a questo secondo modello per far capire la qualità del sistema: la legge truffa del 1953 e la legge Acerbo del 1923. Fino al più recente, l’Italicum, frutto di un accordo tra Renzi e Berlusconi, è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte nel gennaio 2016.

Precedenti non felicissimi, anzi. Ma le perplessità rimangono tuttora, soprattutto da parte di Danilo Toninelli (Movimento 5 Stelle): “il Rosatellum toglie la possibilità di scelta; il voto dei cittadini non conterà nulla, è solo un modo di truffare gli elettori favorendo le accozzaglie di forze di politiche”. Alfredo D’Attorre (Movimento Democratico e Progressista), si concentra principalmente su due punti a rischio di incostituzionalità: la previsione per la quale i voti espressi con il voto congiunto unico solo al candidato nel collegio uninominale si trasferiscono automaticamente alla pluralità di lista collegata, senza che ci sia nessuna volontà dell’elettore di aver scelto una di quelle liste, e la previsione per la quale i partiti che rimangono al di sotto della soglia di sbarramento del 3%, ma, se coalizzati, quei voti possono essere trasferiti al partito della coalizione. Ancor più critico Paolo Maddalena, ex Vicepresidente Emerito della Corte Costituzionale, il quale riconduce la forte instabilità agli interessi settoriali dei partiti che hanno dimenticato il principio della sovranità popolare. Il Professor Stefano Ceccanti invece, cerca di portare ordine riconducendo la costituzionalità ad una mera preferenza politica.

Eleonora Artese

Dario Germani