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Progetto Jean Monnet, alla Sapienza l’ultimo incontro annuale

Mercoledì 13 novembre ha avuto luogo, presso il Dipartimento di Scienze Politiche, l’ultimo incontro annuale del progetto Jean Monnet, al quale hanno partecipato Bernardo Vela Orbegozo dell’Universidad Externado de Colombia, Elisa Tino dell’Università di Napoli e Gonzalo Armienta Hernández dell’Universidad Autónoma de Sinaloa. Vi hanno preso parte, tra gli altri, il Preside della Facoltà di Scienze politiche, Sociologia, Comunicazione, Professor Tito Marci, che ha portato il saluto della Sapienza; il Professor Marco Cilento, Presidente dell’Area Didattica interfacoltà Cooperazione e Sviluppo (ADCS), che ha co-patrocinato e organizzato l’evento, e la Presidente del CISP, Maura Viezzoli.

Il programma Jean Monnet nasce nel 2007 con lo scopo di unire accademici da più parti del mondo, per studiare l’integrazione europea e riflettere sulla situazione attuale. L’incontro che si è tenuto presso la Sapienza si è focalizzato sui governi internazionali, sulla cooperazione allo sviluppo e sui valori democratici comuni. Da questi studi è stato realizzato Ius Cogens: Derecho Internacional e Integración, un libro che riporta le riflessioni di coloro che hanno partecipato al progetto. Gli accademici hanno esposto alcuni degli articoli appartenenti alla raccolta a Culicàn, Bogotá e infine Roma.

Il panel, moderato dalla professoressa Mercedes Verdugo dell’Universidad Autónoma de Sinaloa, si è aperto con l’intervento del professore Bernardo Vela Orbegozo, il quale ha posto una riflessione importante sulla coerenza degli stati, sul pensiero costruito sui paradigmi. Obegozo infatti, crede che la cultura europea si fondi su dei paradigmi, cioè delle approssimazioni, riprese dall’idea aristotelica che privilegia il pensiero. Su questo argomento ha mostrato due scuole di pensiero differenti: il realismo che crede che gli stati vivano in un luogo da difendere e l’idealismo che afferma che lo stato debba comportarsi in base ad un paradigma etico.

Successivamente la professoressa Elisa Tino si è concentrata sull’affermazione dell’Unione Africana, unione di 52 stati africani istituita nel 2000. L’unione ha lo scopo di promuovere valori democratici e la tutela dei diritti umani. Questo ente è stato creato dopo numerosi colpi di stato che hanno avuto luogo nella zona, a seguito della decolonizzazione degli anni ’60. L’unione africana ha apportato delle norme rivoluzionarie, come ad esempio l’articolo 30 che dà il potere all’ente di sospendere uno stato membro nel momento in cui accade un cambiamento incostituzionale di governo, e una soft law collegata a questo articolo stabilisce che uno stato colpevole di questo cambiamento può essere escluso per 6 mesi dalle decisioni governative, se in questo tempo il paese non ritorna a una situazione costituzionale, ne conseguono sanzioni commerciali. Inoltre, ha un carattere programmatico di assistenza e monitoraggio che consiste nella realizzazione di un report delle misure che hanno adottato i singoli stati per rendere più costituzionali i membri.

Infine, ha preso la parola Gonzalo Armienta Hernández, concentrandosi sul concetto di federalismo. Hernández usando come esempio il suo stato cioè il Messico che è il paese con maggiori etnie culturali e differenze linguistiche dell’America Latina. Il professore ha mostrato le criticità del federalismo, difatti a suo parere, questo metodo implica che i singoli stati non colgano l’autoritarismo e l’appartenenza a un governo comune. L’altra critica fondamentale è che questa divisione sia stata fatta come copia degli Stati Uniti, ma tra i due c’è un’enorme differenza culturale che rende problematica l’attuazione di questo metodo.

Durante la conferenza si è appreso che spesso l’Unione Europea, o gli stati più industrializzati, per rendere costituzionali stati che si approcciano da poco al nostro pensiero, utilizzano progetti che hanno funzionato nel nostro territorio, ma che sono molto distanti dalle culture dei paesi che si vogliono rendere costituzionali, e per questo tali metodi spesso falliscono, l’esempio lampante è l’Unione africana che per scarso impiego di fondi e per il non dialogo con altre culture non sembra funzionare, infatti la programmazione di un report è fatta solo da uno dei 52 stati appartenenti.