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Tra migrazione e welfare: esperienze e soluzioni

Nella bellissima location della Sala Bianchi Bandinelli presso l’Edificio di Economia, giovedì 11 maggio si è tenuta la conferenza “International conference on migration and welfare”. Il focus dell’incontro è stato il fenomeno della migrazione verso i paesi europei, uno dei temi più scottanti su cui l’Unione Europea è chiamata a interagire per trovare una soluzione, e della ricerca di un programma comune per gestire i migranti in cerca d’asilo, i rifugiati politici e i migranti economici. Sono state esaminate sia posizioni protezionistiche, tenute soprattutto dalle comunità nazionali e locali, che posizioni più solidaristiche. La conferenza ha stimolato alla riflessione per l’elaborazione di nuove proposte affrontando temi che riguardano lo stato sociale, il mercato del lavoro, i diritti e le preferenze sociali, arricchite dalle testimonianze di relatori provenienti da tutto il mondo, i quali hanno condiviso le valutazioni e l’esperienza di chi osserva quotidianamente da vicino il fenomeno migratorio.

Uno tra gli interessantissimi interventi, quello di Assaf Razin, professore di Economia presso la Cornell University, il quale ha illustrato il fenomeno migratorio nel territorio israeliano, mettendo in evidenza tutte le peculiarità del caso. Israele, ha spiegato Razin, è un Paese ininfluente nell’economia mondiale (rappresenta poco più dell’un per cento), eppure la storia dell’immigrazione israeliana è caratterizzata da esperienze uniche che possono fare da esempio e da guida per gli altri Paesi. La tesi di Razin è fondamentalmente questa: la migrazione e globalizzazione possono migliorare la vita di tutti. Il fenomeno migratorio israeliano rappresenta poi un caso unico in quanto è l’unico Paese al mondo in cui l’immigrazione è libera, ovvero non esistono particolari politiche atte a gestire il fenomeno.

Razin si è dunque focalizzato sull’ultima grande migrazione che si è manifestata in Israele, nel corso degli anni Novanta, che ha visto un gran numero di ebrei provenienti dall’Unione Sovietica riversarsi sul territorio israeliano. Lo studio di Razin, presentato nel suo ultimo libro, vuole dimostrare il legame tra crescita ed immigrazione. Le caratteristiche del flusso migratorio che ha interessato Israele dal 1990 al 2011 sono state: alta scolarizzazione (maggiore della media nazionale); mobilità intergenerazionale, anche questa volta superiore alla media del Paese ospitante; grande partecipazione alla vita politica della Nazione. Tutte queste sarebbero caratteristiche favorevoli ad una buona integrazione se non fosse, ha detto Razin, che anche l’Israele come il resto del mondo è stato investito in quegli anni dal fenomeno della globalizzazione, finendo per determinare una sensibile disparità di reddito tra la popolazione. Razin ha dunque elaborato un modello politico-economico per elaborare questo fenomeno: dal suo punto di vista la causa esogena è stato un supply-side shock, in cui l’introduzione di forza lavoro così qualificata ha sensibilmente modificato l’equilibrio politico economico del Paese, senza considerare semplicemente il grande numero di immigrati. Oltre alle questioni specifiche del mercato, lo studio di Razin si è concentrato sugli effetti politici e sociali: come il Governo del Paese si modella a seguito di un fenomeno migratorio così pervasivo? I risultati sono stati di tipo politico: comparando l’equilibrio politico con o senza i voti degli immigrati ci rendiamo conto di come l’economia del Paese ne venga direttamente influenzata. Con la partecipazione degli immigrati alla vita politica di Israele il sistema diventa più progressista e si percepiscono maggiori benefici sociali. Dunque, se l’Israele non può insegnare molto sul tema delle politiche sull’immigrazione (non avendone), può in realtà costituire un valido esempio nel valutare gli effetti dell’integrazione degli immigrati nel tessuto politico e sociale del Paese ospitante.

Può tuttavia un modello del genere portare agli stessi risultati nei Paesi europei? Pensiamo all’Italia: i nostri immigrati sono molto più disomogenei, sia per etnia che per livello di scolarizzazione e competenze; non hanno la possibilità di accedere in tempi brevi alla cittadinanza italiana, dunque di avere diritto al voto; inoltre non tutti provengono da situazione di regime totalitario, pertanto non sono motivati alla partecipazione attiva nella politica del Paese. Secondo Razin le peculiarità di Israele sono da tenere in conto, ma le conseguenze benefiche dell’immigrazione provate dal suo modello sarebbero sempre valide.