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La lingua dell’Europa: riflessioni su un’identità

      Intervista a Roberto Gualtieri
      Intervista a Luca Serianni

Si è tenuta mercoledì 20 dicembre, presso la facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza, la conferenza “La lingua dell’Europa”. Organizzato dall’associazione studentesca DemoS, l’incontro ha voluto proporsi come un’alternanza di punti di vista autorevoli su una tematica sempre più attuale. La lingua dell’Europa e le lingue dell’Europa, questione trasversalmente attraversata grazie alle riflessioni di Luca Serianni, professore di Storia della lingua italiana, e di Roberto Gualtieri, professore di Storia Contemporanea ed eurodeputato.

L’Europa è un continente multiforme, che vede nella libertà la sua cifra caratteristica. La libertà è il risultato della storia del nostro continente e il suo valore forse più importante. Dal suo riconoscimento pratico trae origine la varietà dei principi e delle istituzioni che caratterizzano la nostra civiltà.

La sottomissione ad un principio unico e i tentativi di uniformazione nei diversi ambiti, in Europa, sono quasi sempre falliti. Il tentativo più forte e cruento, in questo senso, si è fatto strada con i regimi totalitari del secolo scorso. Questi, nella pretesa di uguaglianza totale dal punto di vista politico e razziale, hanno cercato di annullare, sopprimendole, le diversità. L’Europa ha avuto però il coraggio di rispondere con forza alle violente negazioni di civiltà generate dal suo interno. Si è fatta portatrice di libertà soprattutto attraverso l’espressione delle sue intrinseche differenze. Di culture, di costumi e soprattutto di lingua.

Proprio quest’ultima sfumatura ha portato all’idea di un confronto tra lingua ed Europa. Perché quel che avviene nel continente dal punto di vista linguistico è, nei fatti, spesso oggetto di attenzione soltanto in ambito accademico. Pochi e ridotti, gli sbocchi in altre sedi.

La discussione ha trovato il suo incipit in un interessante quesito posto agli ospiti, riguardante le possibilità di utilizzo di una lingua unica in Europa.

Le parole di Luca Serianni evidenziano fin da subito l’impossibilità di una tale proposta. Il plurilinguismo è cifra caratteristica dell’Europa e questa considerazione porta subito a riflettere su un caso atipico ed emblematico. Quello della Svizzera, nella quale convivono diverse realtà linguistiche.

La Svizzera non è un modello. È  però un chiaro precedente da cui partire, nelle considerazioni, per capire che la prospettiva plurilinguistica si pone alla base della fondazione dell’Europa e non può essere eliminata. Ogni lingua ha poi alle proprie spalle un corposo retroterra culturale. La nascita dei vari stati nazionali ha visto fin da subito e con forza la volontà di salvaguardare la diversità.

Ipotizzando una lingua unica per l’Europa, Serianni conferirebbe all’inglese questa funzione veicolare. Lingua veicolare che non avrebbe però chiaramente quel carattere di neutralità utile ad unire, in maniera massiccia, le popolazioni europee. Verrebbe in questo caso meno, ad evidenziare l’impossibilità di proseguire su questo percorso, il senso di appartenenza nazionale.

Roberto Gualtieri, sulla scia interrogativa tracciata, focalizza l’attenzione sull’impossibilità e la poca efficacia di un monolinguismo imposto. I trattati dell’Unione Europea menzionano nell’articolo 3 la volontà di salvaguardare le diversità linguistiche e culturali. Concetto incorporato nell’assetto giuridico dell’Unione, che vede paradossalmente nell’unità e nella diversità i propri tratti essenziali. Nei lavori delle istituzioni si è progressivamente rafforzata la posizione dell’inglese come lingua di lavoro, è vero. Ma il panorama attuale resta ancora quello che prevede la difesa del multilinguismo. Con le due realtà, così, assolutamente non in contrasto.

Dal punto di vista dell’assetto strutturale, il Parlamento europeo rappresenta direttamente i cittadini e rispecchia un metodo di lavoro imperniato sul multilinguismo. Il Consiglio, al contrario, rappresentante dei governi, tende generalmente e salvo casi particolari, a preferire l’inglese.

La previsione di Gualtieri, visti i presupposti, è per i prossimi anni quella di una pacifica coesistenza tra i due poli. Una totale anglicizzazione del lessico di lavoro nelle varie istituzioni continentali dunque, non incompatibile però con il mantenimento e lo sviluppo dello spazio pubblico europeo in una dimensione pluralistica.

L’oscillazione tra la necessità di difendere le lingue nazionali e il bisogno di dar vita ad un progetto politico comune giunge successivamente a costituire un altro importante nodo del dibattito.

Serianni ritiene in questo caso che la scarsa partecipazione all’Europa come fattore unificante non dipenda da problemi linguistici ma culturali. I cittadini europei sono legati tra loro da valori comuni. Condivisi unanimemente dalla comunità, testimoniano un gran senso di appartenenza, senza il bisogno di uguaglianza sul fronte linguistico.

È importante che non si perda la dignità delle singole lingue ed il discorso sul “sentirsi europei”, a questo punto, andrebbe irrobustito fin dalla base. Il passaggio senza difficoltà delle frontiere e la moneta unica sono vantaggi notevoli ma, per giungere ad un miglioramento comune, sarebbe positivo favorire maggiormente la cosiddetta “generazione Erasmus”. Anche e soprattutto dal punto di vista economico, motivo per cui molti studenti rinunciano alla possibilità di vivere questa formativa esperienza.

Gualtieri, in questa direzione, arriva a sostenere la natura non democratica e dunque assolutamente contraria ai principi dell’Unione, di un monolinguismo calato dall’alto.

La dimensione linguistica, soprattutto nella sua capacità simbolica, dovrebbe aiutare il cittadino a raggiungere la consapevolezza della sfida che rappresenta l’Europa.

Uno dei problemi sottolineati in chiusura dall’eurodeputato è la sostanziale disattenzione, il non controllo dell’opinione pubblica su quel che avviene nelle istituzioni europee. Il discorso verte qui non sulla lingua ma sull’adattamento e sull’appropriazione, da parte della comunità italiana in questo caso, della dimensione di uno spazio pubblico unificato, complementare a quello nazionale. Finché tale squilibrio non sarà colmato ci sarà un deficit democratico continentale e il multilinguismo potrà essere, contrariamente, di supporto. Non un ostacolo, ma uno strumento da utilizzare nel processo di risoluzione del problema.

Un incontro capace pertanto di mettere in luce spunti di matrice diversa e dal notevole spessore culturale. Un’analisi attenta sulla cultura europea, sul suo storico passato e sulle possibilità di un suo concreto sviluppo.

Michele Antonelli

Interviste a cura di Miriam Petrini