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La diplomazia italiana di fronte alla legislazione antiebraica

La legislazione antiebraica è un ferita che è parte del nostro passato, i cui effetti sono noti a tutti e non dovrebbero mai essere dimenticati. Molto spesso di quel periodo si racconta della notte dei cristalli, della deportazione, dei campi di concentramento, dei ghetti, ma oggi c’è un nuovo punto di vista che ci può raccontare quegli anni, ovvero come la diplomazia italiana si sia comportata e abbia operato a seguito della promulgazione delle leggi razziali.

Ad affrontare questo tema oggi in Sapienza, presso l’aula B della Facoltà di Scienze Politiche è il seminario dal titolo “La diplomazia italiana di fronte alla legislazione antiebraica: un racconto tra archivi e memoria” tenutosi durante la lezione inter-cattedra: di Storia delle relazioni internazionali, del Prof. Luca Micheletta e di Storia Contemporanea, del Prof. Augusto D’Angelo. A presidiare e condurre il seminario la Dott.ssa Federica Onelli, la quale lavora presso l’Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Il seminario è stato realizzato nell’ambito del progetto Val.UE.s – Valorising Lives and Understanding European (hi)stories (ID 101051106) – co-finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma “Cittadini, uguaglianza, diritti e valori” e l’obiettivo è stato quello di esplorare attraverso le memorie e i documenti d’archivio, l’atteggiamento della diplomazia italiana di fronte alla promulgazione delle leggi razziali.

Ma come mai la Dott.ssa Onelli ha deciso di specializzarsi nello studio di questo tema? In primis per curiosità e poi soprattutto grazie alla presenza nell’Archivio, di una Relazione sull’opera svolta dal Ministero degli Esteri per la tutela della comunità ebraica, pubblicata tra il 44′ e il 45′. La data di pubblicazione è curiosa in quanto siamo quasi alla fine della guerra, dunque perchè pubblicare adesso questa relazione? Probabilmente si ritiene, che il Ministero volesse ripulirsi dall’idea secondo la quale, l’italia fosse stato un paese fascista e antisemita. Ma ciò che sembra paradossale, oltre le data di pubblicazione è che mentre in Italia le leggi fasciste si promulgavano e attuavano, il Ministero degli Esteri tentasse di tutelare gli italiani di origine ebraica residenti all’estero, azione fatta forse per tutelare i propri interessi politici.

Ma l’Italia è sempre stato un paese antisemita? Andando indietro nel tempo prima del 38’ si può notare come l’Italia, dall’inizio dell’800’ avesse superato questa visione conflittuale con gli ebrei, quasi non si aveva la consapevolezza che ci fossero degli ebrei, nè alcuni ebrei sapevano di esserlo, in quanto non professavano più o non avevano mai professato questa religione, come nel caso di Liliana Segre, e questo era dovuto al loro grado di integrazione all’interno del Paese. Per capire meglio il quadro si può presentare un altro esempio: il Ministro degli Esteri della prima guerra mondiale, Sidney Sonnino era ebreo ma questo elemento era quasi irrilevante, cioè non importava l’orientamento religioso, nessuno pensava di dover identificare e definire le persone in quanto ebree. Dunque ci si ritrova improvvisamente in un contesto, dove cambia radicalmente l’atteggiamento nei confronti della popolazione d’origine ebraica, nel momento in cui l’italia si avvicina alla Germania. Gli stessi archivi prima del 33’ non presentavano una posizione archivistica, dove raccogliere la documentazione ebraica. Dopo il 33′ si iniziano a raccogliere documenti inerenti alla questione al di fuori dell’Italia, per poi passare a un’ampia documentazione riguardante la questione in Italia.

Il 1938 è però l’anno del cambiamento, a gennaio viene richiesto tramite una circolare di fare un elenco degli ebrei presenti nel Ministero e all’estero, successivamente a febbraio viene pubblicata l’informazione diplomatica numero 16, nella quale si fa riferimento al fatto che l’Italia non abbia un atteggiamento discriminatorio, nei confronti degli ebrei, ma si vuole cominciare a far si che essi abbiano un peso che non sia dissimile alla loro consistenza numerica. Di fronte a questo gli ebrei più sensibili si chiedevano se si dovesse reagire o meno, mentre alcuni richiamavano alla calma sottovalutando in un certo senso la situazione.

Nel corso del seminario la Dott.ssa Onelli ha permesso agli studenti di prendere visione e di ascoltare alcuni documenti, che riguardano il comportamento della diplomazia italiana in quel periodo. È stata data lettura di lettere, documenti ufficiali e diari di due testimoni chiave della diplomazia italiana in quel periodo. il console Vita-Finzi e Luca Pietromarchi, uno dei membri del gabinetto, che insieme a Ciano era stato parte del cuore pulsante della politica estera italiana.

Paolo Vita-Finzi è stato uno dei sette diplomatici epurato dal Ministero degli Esteri, a causa delle leggi razziali. Si richiese infatti, a tutto il personale, di compilare una scheda per auto-denunciarsi, come appartenente alla “razza ebraica”. Nel caso del console Vita-Finzi c’era una discendenza di sangue, ma professava la religione cattolica, dunque sia lui che i figli non erano stati inseriti nella comunità ebraica. Nel 1924 Vita-Finzi inizia la sua carriera diplomatica, risultando il primo in graduatoria tra i vincitori al concorso, il nonno da parte di madre era stato segretario generale degli affari esteri, uno dei più importanti questo a dimostrazione che non vi fosse un atteggiamento antisemita in Italia, prima del 1938.

Verso la metà degli anni 30’ Vita-Finzi, che era stato assegnato al consolato italiano a Sidney si vede richiamato in italia, dopo solo due anni, al rientro troverà Ciano diventato Ministro degli Esteri, il quale lo assegnerà in un ufficio alla sede centrale, che si sarebbe occupato dell’America Settentrionale. Annoiato dal lavoro accetterà di svolgere la funzione di corriere diplomatico con la Spagna, che si trovava in piena guerra civile, serviva infatti che qualcuno che portasse dei messaggi segreti a esponenti italiani in Spagna. Mentre si trovava al fronte arrivò la notizia, che il Ministero avrebbe voluto allontanare i soggetti d’origine ebraica, così decise di scrivere una lettera al Ministero chiedendo di essere escluso dall’applicazione delle leggi razziali, rientrando in una delle categorie ritenute “protette” ovvero i titolati dello stato

Tuttavia non riuscì nel suo intento e venne allontanato nel 39’ trasferendosi con la famiglia in Argentina. Qui inizia a fare il giornalista e stringe rapporti con i movimenti antifascisti. L’8 settembre del 43 con l’armistizio vengono eliminate le leggi razziali e i suoi provvedimenti, così nel gennaio del 44 venne richiamato in Italia per riprendere servizio. Finirà la sua carriera come ambasciatore in Finlandia e Norvegia, come una persona che era ebrea, ma non si era mai sentita tale e che a causa della legislazione antiebraica si era sentito costretto a ragionare sulla sua identità.

Luca Pietromarchi invece non era ebreo, ma era sposato con un’ebrea, la moglie era riuscita a scampare dalla persecuzione e discriminazione in quanto godeva della protezione del marito. Nel corso del seminario sono state lette alcune pagine del suo diario, tenuto nel 1942. Tra i commenti più salienti troviamo quello inerente a seguito della conferenza di Wenesse e della consapevolezza delle torture effettuate, nei confronti degli ebrei, secondo il diplomatico il mondo era stato costretto dalla Germania a retrocedere nell’ambito della dignità umana. Il diplomatico inoltre si impegnò molto, affinchè molti italiani di origine ebraica, che si trovavano all’estero non venissero consegnati ai tedeschi, sapendo che questo avrebbe comportato la loro fine e attraverso il suo lavoro riuscì a ritardarne la consegna e a salvarli almeno in minima parte.