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Le conseguenze dell’onlife: la metamorfosi della politica e della comunicazione

In un mondo come quello odierno dove il confine tra la realtà e il virtuale non esiste più. In cui siamo sommersi e costretti a vivere iper-connessi entrando nella frontiera dell’onlife: termine coniato dal filosofo Luciano Floridi per descrivere l’ormai impossibile distinzione tra l’essere online o l’essere offline. Insieme alle trasformazioni tecnologiche e digitali muta l’ambiente circostante e inevitabilmente la società e le istituzioni che la rappresentano. Tutto diventa fruibile e accessibile a tutti. Seppur considerando i molteplici aspetti positivi del cambiamento – come l’accessibilità a una vasta gamma di informazioni e conoscenze – vanno considerati anche gli aspetti negativi che l’iper-connessione ha portato con sé. Tra le conseguenze negative abbiamo l’iper-comunicazione, alla quale sono strettamente collegati due macro tematiche: la disinformazione e la disintermediazione.

La disinformazione è un fenomeno che si scatena quando un soggetto percepisce in maniera distorta un’informazione rispetto al suo significato originario. Il più delle volte questa criticità può essere scatenata da un analfabetismo funzionale o da un overload di informazioni.

Focalizzandoci sull’overload di informazioni – indubbiamente scatenato da un flusso comunicativo eccessivo – è bene sottolineare come questo carico cognitivo possa mettere in crisi le capacità critiche degli individui e dunque come possa comportare, da parte degli utenti, un’incapacità di distinguere le fake news dalle news e incorrere così nell’infodemia. Si finisce così per preferire la quantità alla qualità dell’informazione.

Per quanto riguarda, invece, il concetto di disintermediazione si vuole intendere la tramutazione del pubblico in pubblici. L’auto-determinismo è una costanza sui social: chiunque può impossessarsi del diritto di esprimere il proprio parere e di diffondere dei contenuti. Con questo viene messa in crisi la figura del mediatore – incalzata il più delle volte dal giornalista – che aveva il compito di mediare la comunicazione tra il pubblico e i pubblici.

Questo cosa ha comportato? Facendo un’attenta analisi sulle sfere sociali più coinvolte dall’ “algoritmo comunicativo” non si può non prendere in considerazione la politica. Come la storia ci insegna la relazione tra la comunicazione e la politica è abbastanza longeva. Sin dai primi tempi dell’unificazione italiana, viene percepita la potenza del mezzo comunicativo come strumento per garantire la stabilità di un governo, tanto da arrivare nei primi anni del Novecento a una simbiosi tra i leader politici e i giornalisti.

Oggi però questo panorama sembra ulteriormente cambiato. La politica è messa in crisi dall’iper-comunicazione fino a causarne quasi un eclissamento con la sostituzione della politica in comunicazione. Si passa «dai comizi – come luogo di confronto e di contatto diretto con le persone e tra le persone – alla preponderanza prima del mezzo televisivo fino all’attuale prevalenza del web e dei social network.» atto che il professore Eugenio Gaudio traduce in «campagna comunicativa permanente» che rischia di trasformarsi in una «campagna elettorale permanente». Il corto circuito che si viene a creare ha generato una classe dirigente non più rappresentante della voce dei cittadini, ma interessata a comprendere e riassumere in ambiti di maggiore interesse le loro richieste. In questo si potrebbe intravedere un’analogia con i processi utilizzati nel marketing per aumentare l’engagement.

Da ciò desumiamo che i politici sembrano tramutarsi in blogger o finiscono per cedere la loro leadership perdendo quella autorità istituzionale? Secondo Laura Paoletti – membro fondatore della rivista Paradoxa – la tramutazione della politica in comunicazione può essere riassunta nel concetto di «secolarizzazione»: termine utilizzato per descrivere l’eterno ritorno nel passaggio di potere di un’istituzione verso un’altra. Passaggio prima avvenuto dalla Chiesa allo Stato, mentre in età moderna lo scettro «dell’autorità e dell’autorevolezza» della politica viene dato alla comunicazione. Ma quest’ultima sostituzione forse non sarebbe stata possibile se la comunicazione non si fosse per prima appropinquata alle vesti della politica. Paradigma su cui si fonda la tesi di conflittualità, ma allo stesso tempo di simbiosi, creata dalla coesistenza di tre sistemi – comunicazione, politica e opinione pubblica – e dei loro sottosistemi, che tendono sempre più ad ibridarsi. In questo processo il giornalista Francesco Giorgino intercetta tre tipologie di conseguenze. La prima riguarda appunto il sistema su cui si crea l’ibridazione di questi ambienti – ossia il «fondamentalismo tecnologico» – riconoscibile nell’attuazione, da parte dei politici, di strategie di branding per aumentare le loro «capacità di auto-rappresentarsi all’interno della sfera pubblica mediata». Si viene così a creare il «primato della rappresentazione rispetto alla rappresentanza» che porta i politici a non essere più i rappresentati dell’opinione pubblica e attuatori di strategie performanti per la risoluzione dei problemi, ma ad essere acclamati e seguiti in base alla loro capacità di raccontare. Così si giunge alla seconda conseguenza che impone una «dittatura del simbolo e del percepito». Ma anche se fortunatamente lo storytelling non basta per manipolare l’opinione pubblica, i meccanismi di algoritmi e di filter bubble presenti sui social possono portare ad una chiusura e a una percezione distorta della realtà fino ad arrivare ad «un collasso del significato nel significante».

Dunque, qual è la soluzione a tutto questo? Come abbiamo visto ogni sistema gioca un ruolo fondamentale nel panorama globale. L’opinione pubblica ha bisogno di una rappresentanza che non metta al primo posto la sua stessa autodeterminazione. Il legame di una leadership politica con i suoi lettori deve coesistere rispettando il suo ruolo di autorevolezza istituzionale. La comunicazione e la politica sono due forze coesistenti e nessuna può prescindere dall’altra. Bisogna però creare un nuovo modo e un nuovo spazio in cui venga accentuato e mantenuto un dibattito ed esercitato lo spirito critico di ogni individuo, per interrompere definitivamente quel corto circuito ormai esistente da molto tempo.

(L’argomento è stato trattato nel terzo numero della rivista Paradoxa, dunque ulteriori approfondimenti sono consultabili al link: https://www.novaspes.org/paradoxa/)