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Alfa Mist infiamma il Monk con la sua energetica miscela di “jazz made in UK” a cavallo tra sfumature neo-soul e ritmiche hip hop

Poco dopo le ventidue, venerdì 18 novembre. Alfa Mist si appresta a salire sul palco del Monk Club per un concerto da tutto esaurito, il penultimo del folto cartellone della quarantaseiesima edizione del Roma Jazz. Il produttore, pianista e MC britannico è uno dei nomi di punta della nuova scena londinese, alfiere di quel sound meticcio che ibrida tra loro funk, dub, jazz e hip hop rielaborandoli sotto nuove spoglie. Le sonorità “new wave jazz” di Alfa Mist incontrano così la filosofia del festival, attento ai nuovi linguaggi e alle molteplici contaminazioni interne al jazz contemporaneo.

Il polistrumentista entra sommessamente sul palco, il suo viso è nascosto da un cappello nero. Dopo essersi seduto di fronte al fedele piano elettrico Fender Rhodes, il tastierista azzera la distanza col pubblico con le note del primo brano, “Teki”, un estratto dalla sua quarta fatica discografica, l’album “Brings Back” uscito nel 2021 per l’etichetta Anti. Gli atmosferici accordi e fraseggi suonati da Alfa Mist vengono sostenuti da una band di prim’ordine, composta da Jamie Leeming alla chitarra, Kaya Thomas Dyke al basso elettrico, l’esplosivo Nath Shingler alla batteria e James Copus alla tromba. Le composizioni scorrono fluide una dopo l’altra, i musicisti si scambiano momenti dove brilla l’interplay fra di loro e la maestria virtuosistica di ogni singolo componente. Il batterista sorregge la band con ritmiche spezzate e ondeggianti che oscillano tra il jazz e l’hip hop alla J Dilla, arrivando addirittura a toccare a più riprese la soglia del breakbeat. La chitarra di Leeming si lascia andare a liquidi guizzi psichedelici dove si siede a terra e gioca con un pedale del delay, per poi sfociare in alcune sezioni in assoli effettati da octaver e riverbero. Alfa Mist si destreggia tra caldi rivolti pianistici e lead atmosferici, per prestare poi anche la sua voce ad un paio di brani che sfociano nel rap, tra cui si staglia il pezzo di chiusura di “Brings Back”, la notturna “Organic Rush”. La band esplode sull’energica “Bumper Cars” e sull’orecchiabilissimo tema principale dalle venature hip hop suonato anche dalla tromba riverberata di James Copus. Il gruppo esegue con perfezione maniacale anche “Breathe”, brano estratto dall’album del 2017 “Antiphon” e introdotto dai vocalizzi della bassista, oltre che una reinterpretazione del brano “First Light” di Freddie Hubbard. C’è spazio anche per un’altra cover, “Zen Garden”, estratta questa volta da “Resynthesis”, l’ultimo disco del chitarrista Jamie Leeming, collaboratore di Alfa Mist anche in studio. Il pubblico è in visibilio, le teste degli spettatori non riescono a non ondeggiare di fronte ai ritmi sincopati magistralmente suonati dai musicisti. Qualcuno non riesce a trattenere l’euforia di fronte agli assoli virtuosi di batteria e chitarra, sintomo che la band di Alfa Mist è riuscita ad infiammare il pubblico. Il Monk si tinge di luci notturne, il gruppo si ritira come da prassi dietro le quinte prima di regalare ai presenti un encore stracolmo di groove dove esegue i due brani più ascoltati del musicista britannico, “Brian” e “Keep On”, entrambi estratti sempre da “Antiphon”.

In conclusione, Alfa Mist e la sua band hanno offerto alla platea del Monk un concerto trascinante e coinvolgente in cui il virtuosismo non è mai stato fine a se stesso, ma sempre asservito all’esecuzione complessiva dei brani. Colpisce la maestria con cui il musicista riesce ad ibridare tra loro le influenze più disparate, dalla jungle fino al jazz più tradizionale, sintetizzandole in composizioni dilatate dove il suo Fender Rhodes occupa il centro del palcoscenico. Proprio come quel venerdì sera al Monk.